Dentro le stanze del Quirinale tra storia e leggenda

by Sergio Segio | 15 Aprile 2013 6:19

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È stato abitato fin dall’ottavo secolo avanti Cristo, quando qui si stabilirono i cultori di un’oscura divinità  italica, Quirinus, assimilata dai latini a Romolo e Marte. Ma i potenti hanno cominciato a salirvi un po’ più tardi, quando, sotto la dinastia dei Severi, vi prese casa un dio oracolare che distribuiva profezie, responsi, investiture. Il suo tempio, proprio nel luogo dove oggi sorge la residenza del capo dello Stato, era ispirato al più celebre dei santuari di Serapide, quello di Alessandria d’Egitto, e resistette fino al Medioevo, come dimostrano alcuni studi del Palladio che ne disegnò le rovine. Tuttavia, l’abitudine di incamminarsi fin lassù per chiedere illuminazioni, tutele e patenti d’autorità  è ben presto riaffiorata e non a caso gli uomini che contavano (o aspiravano a contare) dell’Italia papalina, monarchica e repubblicana hanno ricominciato a bussare alle porte di quella sorta di Città  Proibita. I cui inquilini, obbligati a sovrintendere agli arcana imperii, distillando vaticini, diagnosticando, mediando, rischiavano la pelle — letteralmente — se uscivano dalla dimensione (allora strettamente sacrale, oggi costituzionale) loro assegnata.
Nel palazzo, costruito in età  rinascimentale e poi oggetto di varie ristrutturazioni, aggiunte e rimaneggiamenti, hanno vissuto 30 pontefici, 4 re e 11 presidenti della Repubblica. Controverso il numero delle stanze e saloni (c’è chi ne calcola 800 e chi addirittura quasi 2.000, considerando le adiacenze e dependance, e trascurando una chiesa e qualche cappella), la reggia è da alcuni anni visitabile al pubblico. Si concede l’accesso a un percorso breve, che può soddisfare qualche curiosità  a chi voglia vedere le preziose collezioni (sulle quali svetta quella di arazzi) o magari «respirare l’aria» dell’alta politica. Si passa, ad esempio, nell’enorme salone dei Corazzieri, dove si tengono le udienze e dove vengono ricevute le alte cariche dello Stato e gli ambasciatori. Si sfila nel loggiato d’Onore, detto anche loggia alla Vetrata, dove i segretari dei partiti rilasciano le loro dichiarazioni durante le crisi di governo. Si può, ancora, affacciarsi dalla sala del Balcone, da dove i papi elargivano benedizioni urbi et orbi e da dove i re esibivano al popolo gli eredi. E si può, infine, passeggiare nei giardini dai quali si domina la città  eterna, ornati di statue antiche, piante rare e arricchiti perfino da una fontana «musicale».
Non sono stati molti i presidenti della Repubblica che hanno scelto di abitare al Quirinale. «Troppo poca intimità , troppo affollata la corte di persone che ti si muove intorno, con lo stesso senso di estraniamento che può darti il prendere alloggio al Louvre», ricorda Mario Segni, che ci veniva a trovare il padre Antonio, capo dello Stato. E pure Francesco Cossiga non amava starci, perché aveva la sensazione «di essere la comparsa di un film storico» e si sentiva «chiuso in un disperante isolamento». Un sentimento, quello di una alienante solitudine, che aveva ispirato un romanzo scritto una quarantina d’anni fa da Guglielmo Negri, colto consigliere giuridico di Sandro Pertini, nel quale qualcuno si preoccupava di costruire al Quirinale una «floating room», una stanza sospesa, «una gabbia in plexiglas per rinchiudervi dentro i presidenti e proteggerli» (e non era chiaro se servisse a proteggerli da se stessi o da un assedio esterno). Ma ce n’è un altro, di sentimento curioso, sospeso sul Palazzo e su chi ci abita: l’idea di un oscuro maleficio, pronto ad abbattersi su chi si riveli troppo refrattario alle regole. Pochi ci hanno voluto credere. Sta di fatto però che donna Vittoria Leone avrebbe avuto un presagio dell’amara svolta familiare che al Quirinale si sarebbe compiuta, con le dimissioni anticipate del superstiziosissimo marito Giovanni, quando i suoi tre amati gatti l’abbandonarono proprio il primo giorno che vi mise piede.

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