D’Alema incontra Renzi: «Errore escluderlo»

by Sergio Segio | 12 Aprile 2013 6:36

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ROMA — Bersani cerca una tregua, ma gli animi sono troppo infuocati e la posta in gioco troppo alta perché il segretario riesca a riportare la pace fra le correnti, dove ci si divide fra «democristiani» e «comunisti». Per Beppe Fioroni il Pd «rischia di implodere» e la prova arriva a sera dal Tg di Mentana, su La7, dove Matteo Renzi torna a strattonare il segretario.
Se proprio vuole accordarsi con Berlusconi «si sbrighi» perché la crisi non aspetta e, se non ci riesce, meglio andare a votare, pure col Porcellum. Un aspirante premier, incalza Renzi, ha il «dovere morale» di affrontare l’emergenza. Escluso dal conclave che eleggerà  il successore di Napolitano, il sindaco provoca Bersani sul punto più dolente: «Caro segretario, smetti di occuparti di me e di te e pensa ai problemi dell’Italia».
È di nuovo guerra, ma la scissione è rinviata. Renzi si è convinto che vogliano spingerlo fuori dal Pd e si prepara a resistere: «Odio i partitini personali e non accetterò mai l’idea che siccome qualcuno non mi vuole io gli faccio un favore. Come diceva quello, “che fai, mi cacci?” Io non me ne vado neppure se mi cacciano a pedate». Citazione un po’ forte, che evoca la separazione traumatica tra Fini e Berlusconi. Eppure Bersani assicura che no, il Pd non rischia fratture: «Scissione? Non abbiamo problemi del genere». E alle 20 e 30, in tv, ecco che si apre (virtualmente) il congresso del Pd. Fabrizio Barca annuncia dalla Gruber di aver preso finalmente la tessera da una manciata di ore, con il sogno di farne «un grande partito del lavoro». E Renzi, negli stessi minuti, registra Porta a Porta e attacca. Le telefonate per impedirgli di votare per il Quirinale? «Bersani meno parla di Telecom e meglio è». Le elezioni? «Questi a votare non ci vogliono andare… Ma 47 giorni senza governo sono un dramma». L’Unità ? «Darmi del fascistoide è una violenza verbale inaccettabile». E Palazzo Chigi? «Ho perso le primarie e non faccio il premier». A elettrizzare gli animi è anche l’ipotesi che possa essere Bersani stesso a prendere il posto di Napolitano e il segretario la toglie di mezzo: «Gli unici colli a cui penso sono quelli piacentini». Nel Pd però se ne parla e chi non apprezza l’idea sottolinea come la smentita sia arrivata con un giorno di ritardo. Tanto che a Enrico Letta tocca ufficializzarla: «Il segretario del Pd non è candidato al Quirinale».
Accuse, sospetti, veti incrociati. Rosy Bindi sfoga su La Stampa il suo malessere, sostiene che la linea del leader sta «snaturando il partito» e che un governo di minoranza lo «consegna a Berlusconi». E il renziano Roberto Reggi sospetta che i bersaniani gridino alla scissione per «ridurre al silenzio» gli oppositori interni: «Gli integralisti islamici del tortellino provano a spingerci fuori, ma semmai vanno fuori loro…». Dove il riferimento gastronomico è agli emiliani del «bunker», Bersani, Errani, Migliavacca, Fiamminghi.
Renzi assicura che non lascerà  il Pd «nemmeno morto» e Massimo D’Alema, che a Firenze ha incontrato il sindaco, prova a ricompattare il Pd: «Due che dovrebbero scindersi hanno avuto una lunga, cordiale, amichevole conversazione». L’esclusione di Renzi dai grandi elettori del Quirinale pesa ancora. «È stato un errore» ha rimproverato D’Alema, che spera di ricompattare il partito. Ma i bersaniani temono una manovra per costringere il segretario ad arrendersi. Tanto più che Renzi e D’Alema si sono trovati d’accordo sulla necessità  di aprire a un governo di scopo, nel caso Bersani dovesse fallire. Oggi il leader vedrà  l’ex premier e di certo gli chiederà  conto delle sue reali intenzioni. Bersani ha visto Violante il quale, con Amato, D’Alema e Marini è tra le figure più gradite a Berlusconi per il Quirinale. Ma sull’ultimo nome Renzi pone un veto: «Non può essere eletto perché in Abruzzo i cittadini non lo hanno votato». E un drappello di parlamentari pd, tra cui Monica Cirinnà  e Walter Tocci, raccoglie adesioni per lanciare Dacia Maraini.

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