Da destra a sinistra l’attrazione irresistibile per il «colpo di Stato»

by Sergio Segio | 21 Aprile 2013 6:33

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La manifestazione, per qualche ora, aveva messo in apprensione i parlamentari dei partiti che finalmente, dopo giorni di mattanze conclusi con l’abbattimento di Franco Marini, Romano Prodi, Rosy Bindi e Pier Luigi Bersani, avevano trovato la quadra sull’attuale inquilino del Colle. Oddio: cosa sarebbe successo se il leader genovese avesse scatenato il popolo degli indignati contro quella scelta rattoppata all’ultimo momento?
Le parole del proclama di guerra lanciate sul blog www.beppegrillo.it sembravano prese da qualche orazione di Winston Churchill sotto le bombe dell’aviazione hitleriana: «Ci sono momenti decisivi nella storia di una Nazione. Oggi, 20 aprile 2013, è uno di quelli. È in atto “un colpo di Stato” (*) Pur di impedire un cambiamento sono disposti a tutto. Sono disperati. Quattro persone: Napolitano, Bersani, Berlusconi e Monti si sono incontrate in un salotto e hanno deciso di mantenere Napolitano al Quirinale, di nominare Amato presidente del Consiglio…».
Meno male, appunto, che c’era quell’asterisco. Come accade in calce a certi documenti, spiegava che il golpe non andava inteso come l’irruzione in Aula del colonnello Antonio Tejero che trent’anni fa tentò di rovesciare la democrazia spagnola ma di una specie di «pronunciamiento» condotto «furbescamente con l’utilizzo di meccanismi istituzionali».
Si trattava comunque di una cosa così grave da rendere necessaria una mobilitazione popolare: «Sto andando a Roma in camper. Ho terminato la campagna elettorale in Friuli Venezia Giulia e sto arrivando. Sarò davanti a Montecitorio stasera. Rimarrò per tutto il tempo necessario. Dobbiamo essere milioni. Non lasciatemi solo o con quattro gatti. Di più non posso fare. Qui o si fa la democrazia o si muore come Paese. Una raccomandazione: nessun tipo di violenza, ma solo protesta civile. Isolate gli eventuali violenti».
Ed erano stati parecchi a rispondere alla convocazione, fin dal pomeriggio, sotto l’obelisco di Montecitorio. Come non mobilitarsi, davanti a «un golpe»? Ore e ore ad aspettare il capo della resistenza. Mentre le tv, le radio, le agenzie, tracimavano di dichiarazioni colme di indignazione, preoccupazione, sdegno per quella scelta dell’ex comico genovese di precipitarsi giù nella capitale per contestare in piazza quel voto preso a larghissima maggioranza. «Ma come! Qui! Proprio davanti al Parlamento!». Eversivi!
Gli archivi, in realtà , sono pieni zeppi di manifestazioni organizzate in piazza Montecitorio. Da decenni. Ne hanno fatte le famiglie degli sfrattati buttati fuori di casa. I minatori con l’elmetto espulsi dalle miniere. E poi gli artigiani e i terremotati dell’Aquila e perfino i clown, i nani, le ballerine, i trapezisti che chiedevano aiuti legislativi per l’antica e nobile arte circense.
Per non dire di certe manifestazioni violente, come quella dell’aprile del 1993, in piena Tangentopoli, quando dei ragazzotti neofascisti al grido di «boia chi molla» presero d’assalto Montecitorio spaccando anche una vetrata d’ingresso mentre parlamentari dell’allora Msi quali Maurizio Gasparri o Raffaele Valensise, uscirono un po’ per calmare e un po’ per solidarizzare con i camerati che urlavano contro i politici ritmando: «Ma quale, ma quale / immunità  parlamentare / il popolo, il popolo / vi deve giudicare». Qualcuno portava delle magliette anticipatrici di uno degli slogan di oggi: «Arrendetevi, siete circondati!».
La stessa accusa di un golpe, che indignava ieri i pidiellini e i democratici e i montiani, era risuonata durante un adunata su quella piazza Montecitorio indetta da Forza Italia e An per protestare anni fa contro la legge sulla par condicio. «È in corso un vero e proprio colpo di Stato!», strillava il capogruppo dei senatori azzurri Enrico La Loggia. E il leghista Luigi Perruzzotti rincarava: «Voi volete introdurre in Italia un regime totalitario! Non so se arriveranno anche i carri armati ma i segnali ci sono già . Noi non permetteremo che s’instauri un regime comunista!».
Gli stessi insulti a un capo dello Stato, che tutti temevano ieri di sentire urlare in quella piazza davanti alla Camera, erano lì già  risuonati. Nel corso di quella stessa manifestazione di cui dicevamo, dove Alessandra Mussolini, non ancora folgorata dalla scoperta della solidarietà  femminile, urlava contro «quella racchiona della Rosi Bindi» e «quella parruccona della Balbo».
Nel mirino c’era Oscar Luigi Scalfaro, reo di avere firmato la legge tanto odiata. Vittorio Sgarbi, davanti a quella platea definita dagli organizzatori «pacifica, composta e serena», esordì così: «Ieri ho usato un’espressione moderata nei confronti di Scalfaro: “una scorreggia fritta”. Scusate: ho dato aria a ciò che è materia». Risate: «Bravoooo!».
A farla corta, dopo tante proteste convocate lì dalla destra e dalla sinistra (ad esempio quella del Pd contro la prescrizione breve, dove arringò la folla anche Pier Luigi Bersani e dove i manifestanti coprirono di insulti irriferibili Daniela Santanchè che li aveva «sfidati» svettando troppo vicina su tacchi a spillo da 12 centimetri), la manifestazione convocata da Grillo non poteva essere bollata come una novità  assoluta.
Era l’incubo di una folla incontenibile in quegli spazi stretti a mettere tutti in ansia. E via via che cresceva l’attesa per il condottiero barbuto che scendeva in camper lungo l’Autosole, i grillini convenuti sotto l’obelisco apparivano sempre più indignati per l’accantonamento di Rodotà  e la conferma sul Colle di Napolitano che di colpo, dopo essere stato rivalutato dal leader genovese («mi è piaciuto molto») tornava ad essere quello di una volta, ribattezzato «Morfeo». Finché, a un certo punto, ha detto la sua Stefano Rodotà , cioè la prima «vittima del golpe» denunciato: «Sono sempre stato contrario a ogni forma di marcia su Roma. Sono convinto che le decisioni parlamentari possano e debbano essere anche duramente criticate ma partendo dalla premessa che esse si muovono nell’ambito della legalità  democratica». Parole nette. Coerenti con la statura e l’imparzialità  di un uomo che a buon diritto aveva rifiutato per giorni di essere ipocritamente etichettato dai suoi storici compagni della sinistra come un «candidato grillino».
È stato lì, probabilmente, che Beppe Grillo ha capito che la collera e l’indignazione per la conferma secondo lui «inciucista» di Napolitano l’aveva spinto una decisione forse frettolosa. Alle otto e dieci di sera, in coda al suo appello sul blog, contrordine grillini: «P.s.: arriverò a Roma durante la notte e non potrò esser presente in piazza». Scontate le ironie sul web: «La retromarcia di Roma». Ma possiamo scommettere che non è finita qui.

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