by Sergio Segio | 14 Aprile 2013 7:16
Due anni fa la sua vita così preziosa per tutti noi è stata recisa da mano assassina. Chi ha materialmente ucciso Vik forse nemmeno era pienamente consapevole del danno profondo che avrebbe provocato al suo popolo e a quel vasto, irriducibile ma sempre più inascoltato movimento internazionale di solidarietà per i palestinesi ancora sotto occupazione militare. Oggi il manifesto, il giornale di Vik che vedeva la solitudine e il dramma dell’inferno di Gaza attraverso i suoi occhi e che non ha smesso d’investigare sulla sua morte così dolorosa, ha testimoniato fin dentro l’oscurità della prigione di Gaza la vergogna e l’infamia di chi ha orchestrato quella morte. Perché noi non abbiamo smesso di cercare la verità e di pretenderla.
La vita di Vittorio, come quella dei palestinesi, si è consumata e si consuma nel sangue e, in troppi vorrebbero, anche nel silenzio. Solo nel novembre scorso l’ennesima offensiva di bombardamenti aerei ha squassato quel che resta di vitale nell’inferno della Striscia. E la litania dei bombardamenti è continuata fino ai nostri giorni. Ora che il cuore palestinese, lo sappiamo, è spaccato almeno in due parti. Oggi, dopo lo svelamento delle rivolte arabe e l’emergere dell’islamismo integralista politico e di potere, l’addio a quelle che chiamavamo «primavere arabe» è sotto gli occhi di tutti. Com’è sotto gli occhi di tutti che la madre di tutte le crisi, la questione palestinese, non solo non è risolta ma giace in disparte e non è più nemmeno all’ordine del giorno dei potenti del mondo, dopo tante promesse e chiacchiere che hanno solo salvaguardato fin qui il dominio degli occupanti israeliani. Mentre nell’agenda politica la parola pace e quella che non solo semanticamente le si contrappone, vale a dire la guerra, nemmeno compaiono.
Ma noi ancora siamo a testimoniare, a tenere le posizioni, con la stessa serenità , intelligenza, raffinatezza e originalità di Vik, che c’è un vento che cresce nel suo amato Mediterraneo, quello impetuoso di speranza ed amore per i senza voce, per gli oppressi, per i dannati della terra, i nuovi protagonisti di una democrazia sostanziale che ci chiama direttamente in causa. Restiamo umani.
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