“Così la Concordia ha distrutto l’habitat marino”

by Sergio Segio | 19 Aprile 2013 8:15

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ROMA — L’inchiesta per disastro ambientale è partita in questi giorni alla Procura di Grosseto. Il nuovo procedimento, parallelo al processo che si sta celebrando per l’incidente della Costa Concordia, ha fatto propria la prima imputazione — “distruzione e deterioramento di habitat all’interno di un sito protetto” —, l’ha trasformata nel più grave “disastro ambientale” e l’ha contestata ai sei indagati dell’inchiesta madre e all’armatore (Costa Crociere).
L’inchiesta bis poggia su 44 pagine elaborate in quattro giorni da un dirigente e un funzionario del ministero dell’Ambiente e da due funzionari dell’Ispra, l’Istituto pubblico di protezione ambientale. Nel dossier presentato alla procura c’è scritto, innanzitutto, che nella riserva marina a protezione integrale dell’Isola del Giglio la collisione della Costa Concordia — contro uno scoglio delle Scole — e poi il suo inclinarsi sulla scogliera del promontorio di Punta Gabbianara hanno prodotto una mutilazione dell’ecosistema marino e danni permanenti al paesaggio: la frattura del primo scoglio, appunto, e «un’alterazione morfologica della roccia di granito» là  dove oggi è appoggiato il relitto della nave. Il ministero ha chiesto a Costa Crociere «il ripristino dell’area alle originarie condizioni», ma valuta più pragmaticamente in 200mila euro il valore (danni) delle Scole mozzate. Nella zona di Punta Gabbianara i 290 metri del transatlantico hanno ucciso — per sradicamento la notte del 13 gennaio 2012 e togliendo la luce alle piante nei successivi quindici mesi — 7.500 metri quadrati di Posidonia oceanica e «moltissimi esemplari di Pinna nobilis», mollusco conosciuto come “nacchera”, a rigorosa protezione. La fine della Posidonia (3,75 milioni il danno stimato, destinato a crescere) comporta una perdita «di produzione ittica pari a 15.840 chili».
Il problema più grave è la contaminazione delle acque intrappolate all’interno della nave che, per una stabilizzazione che il presidente del Parco dell’arcipelago toscano definisce «fin qui miracolosa», sono uscite dallo scafo in minima parte. Il dossier del ministero sostiene che «250mila metri cubi d’acqua marina sono stati inghiottiti dal relitto divenendo veri e propri rifiuti liquidi che ora rischiano di fuoriuscire in mare con effetti devastanti per l’intera area». Effetti devastanti. Nelle prime settimane post-naufragio un inquinamento da saponi e detersivi venne rilevato dalle centraline Arpat piantate attorno alla nave e a ottobre 2012 e febbraio 2013, dopo mareggiate più forti, la Concordia ha rilasciato in mare idrocarburi (2.400 tonnellate di gasolio sono state portate via senza incidenti, 243 tonnellate sono ancora all’interno senza sigilli certi). La mistura nerastra di pane e carburante, shampoo e olii rischia di insozzare il mare cristallino dell’isola — verso Sud-Est — quando la nave sarà  fatta ruotare nel tentativo di raddrizzarla. La successiva pulizia delle acque costerà  7,4 milioni.

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