Cie, un unico ente gestore e l’isolamento per chi ha “l’indole non pacifica”
Roma – Un unico ente gestore per tutti i 13 Centri di identificazione e di espulsione in funzione in Italia in questo momento e la trasformazione dei Cie in strutture sempre più simili alle carceri. Sono i due aspetti più rilevanti che emergono dal “documento programmatico” del Viminale realizzato da una task-force guidata dal sottosegretario Saverio Ruperto, che a partire da giugno 2012 ha svolto ispezioni nei centri in cui vengono trattenuti i migranti irregolari. La motivazione dell’indagine, contenuta nel rapporto, è che “l’interesse manifestato da più parti della classe politica, la costante vigilanza degli organismi internazionali e la spiccata sensibilità dell’opinione pubblica verso i temi dell’immigrazione irregolare hanno determinato, soprattutto negli ultimi tempi, una sovraesposizione del problema, accrescendo l’attenzione e il controllo sociale dell’attività svolta in materia dall’Amministrazione pubblica”. Gli esperti del ministero arrivano alla conclusione che allo Stato converrebbe avere un unico interlocutore per tutti i Cie e che questo porterebbe uniformità negli standard organizzativi e un risparmio di spesa.
Per i 13 centri attualmente esistenti, senza contare i due nuovi Cie previsti, il budegt annuale complessivo per la gestione dei servizi affidati a cooperative del privato sociale o a organizzazioni come la Croce Rossa, supera i 18 milioni di euro. L’ultimo dato aggiornato diffuso da Redattore Sociale è di 18 milioni e 607 mila euro al primo febbraio 2012. Quindi, un solo soggetto o un’Ati di imprese, si troverebbe a gestire un importo pari a questo o ancora più elevato, nel caso in cui ci fosse un bando unico.
Il rapporto auspica “la creazione di un corpo di operatori professionali cui affidare la gestione delle attività ”, di “operatori specializzati, preparati attraverso corsi specifici di formazione e addestramento, organizzati anche con il contributo dell’amministrazione penitenziaria”. Per quanto riguarda i frequenti “episodi di sedizione e rivolta che si registrano all’interno dei Centri – scrivono gli autori del dossier – essi si manifestano in condotte violente e antisociali da parte di alcuni ospiti”. Come soluzione, gli esperti della task force propongono “la creazione, all’interno di ogni Cie, di moduli idonei ad ospitare persone dall’indole non pacifica”. Inoltre, per prevenire i disordini, chiedono l’introduzione nel Testo Unico sull’immigrazione di norme che prevedano un’aggravante per i reati commessi nei Cie, “caratterizzati da condotta violenta”, per dare potere al prefetto o al questore, oppure a dei “consigli di disciplina” istituiti ad hoc all’interno dei Cie, di disporre il trattenimento degli autori delle rivolte in “aree differenziate della struttura”, “in via cautelativa” per “prevenire” il danneggiamento delle strutture. Il provvedimento dovrebbe essere sottoposto a convalida del giudice di pace. La task force del Viminale non tiene conto della sentenza del tribunale di Crotone, che a dicembre 2012 ha assolto alcuni trattenuti nel Cie di Isola Capo Rizzuto protagonisti di una rivolta, perchè avevano agito per “legittima difesa” nei confronti delle condizioni di vita nel cie “lesive della dignità umana”.
Alberto Barbieri, coordinatore dell’Ong Medici per i diritti umani (Medu), annuncia un contro-rapporto che l’associazione presenterà il 13 maggio, dal titolo “Arcipelago Cie”. “In relazione ai 15 anni trascorsi dall’esistenza di queste strutture, emerge la non riformabilità dei Cie, migliorarli è impensabile – dice Barbieri – le nostre conclusioni sono esattamente l’opposto del rapporto Ruperto”. L’indagine di Medu è stata condotta sul campo, visitando anche più volte tutti i centri. “Abbiamo considerato tre aspetti: il rispetto della dignità della persona e dei diritti umani, l’efficienza in rapporto ai costi e l’efficacia – afferma il coordinatore di Medu – e siamo arrivati a un giudizio fortemente negativo su tutti e tre gli aspetti”. (Raffaella Cosentino)
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