by Sergio Segio | 15 Aprile 2013 6:36
TARANTO — Non serviva agitarsi più di tanto. Quel referendum da fissare «a una data più lontana possibile», come nel 2010 ordinava la famiglia Riva — intercettata al telefono — al sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, non era niente di cui l’Ilva avrebbe dovuto preoccuparsi. La prova è arrivata ieri dalle urne: il Comune ha chiesto ai tarantini se volessero la chiusura dello stabilimento siderurgico e, se sì, della sola area a caldo (quella più inquinante). E i tarantini hanno scelto di non scegliere, restando a casa. Alle 22, a urne chiuse, aveva votato al referendum soltanto il 19,51 per cento degli aventi diritto, lontanissimi dal quorum del 50 per cento necessario perché la consultazione fosse valida. Ancora più emblematici i dati dei quartieri a ridosso del siderurgico, dove alle urne si sono recati meno di un elettore su dieci.
Il referendum, spiegano in città , era lo strumento sbagliato: non si può chiedere ai cittadini di scegliere tra il diritto alla salute e quello al lavoro. Deve essere la politica a dare una risposta. Se fosse stato raggiunto il quorum, il Comune avrebbe dovuto in qualche maniera tenere conto dell’indicazione dei cittadini e il sindaco Stefano — che ieri ha votato, ma senza dichiarare come: «Una giornata importante, si decide il futuro della città » — in qualità di autorità sanitaria avrebbe dovuto emettere un provvedimento di chiusura dello stabilimento. «Fantapolitica» hanno spiegato i partiti nei giorni scorsi, segnalando che la consultazione costava all’amministrazione 400 mila euro. E tutti i partiti hanno snobbato il referendum, dando libertà di voto. Allo stesso modo hanno fatto i sindacati. Avevano indicato di votare «sì» soltanto il MoVimento 5 stelle («ma troppo timidamente » hanno protestato ieri i comitati organizzatori, con il leader dei Verdi Angelo Bonelli che se la prende con «Grillo muto »), Radicali e Sel (sul secondo quesito). «Con queste premesse — spiega Alessandro Marescotti, presidente dell’associazione ambientalista Peacelink — era impossibile immaginare un risultato diverso. Risultato che non ci ha affatto deluso: quasi trentamila persone che vanno alle urne in piena autonomia sono un fiume, un esercito. Oggi nessuno potrà fare a meno di un cittadino su dieci che chiede di chiudere l’Ilva». Inutile l’appello al voto agli operai: pochissimi quelli che si sono messi in fila per esprimere la preferenza. «Se avessi votato per la chiusura dello stabilimento — dicono fuori all’Acciaieria numero 5 — avrei cancellato il futuro mio e dei miei due figli».
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