Cgil e Fiom: «L’articolo 8 va abrogato»
La Cgil si mette in moto verso la nuova stagione politica (ancora densa di incognite) e sindacale (piena invece di alcune certezze: la crisi e una legislazione che non aiuta). E lo fa ribadendo una richiesta che Susanna Camusso ha già declinato con chiarezza in campagna elettorale: «L’articolo 8 deve essere abrogato». La legge, voluta dal ministro Maurizio Sacconi per accontentare Sergio Marchionne e la Fiat, è in realtà un potentissimo demolitore dei contratti nazionali e di tutte le tutele dei lavoratori: varata il 13 agosto del 2011 (non a caso, in piena estate), prevede che un qualsiasi accordo aziendale possa derogare non solo al contratto nazionale ma anche alle leggi. «Vuol dire non solo cancellare i diritti, ma anche lo stesso sindacato», avverte il segretario generale della Fiom Maurizio Landini, ieri presente anche lui a un seminario sul tema a Roma, organizzato dalla Rivista giuridica del Lavoro della Cgil, a cui hanno partecipato i principali segretari di Corso d’Italia, giuslavoristi e costituzionalisti.
Certo non è per nulla facile capire chi – e se mai qualcuno – potrà raccogliere l’appello della Cgil, dei metalmeccanici e di tutte le altre categorie, visto che il prossimo governo è ancora di là da venire e potrebbe avere una «formazione» non vicina alle posizioni del sindacato. Ma intanto la Cgil contratta, e studia. Analizza le conseguenze che ha già avuto l’articolo 8 nei quasi due anni dalla sua entrata in vigore, con i tentativi disperati di arginarne la penetrazione. Ma invece la legge voluta da Sacconi agisce, eccome: in un’azienda di Paderno Dugnano, ad esempio, la Fiom ha ritirato la firma quando si è resa conto che l’accordo, applicando l’articolo 8, andava a ledere diritti fondamentali dei lavoratori. Dall’altro lato, al contrario, alla Golden Lady la Cgil ha deciso di accettare la citazione della lex sacconiana in premessa di un’intesa che ha garantito il lavoro dipendente a oltre un migliaio di associati in partecipazione: «Abbiamo diluito nel tempo l’applicazione della legge Fornero, ma in questo modo abbiamo ottenuto la stabilizzazione», spiega Ivano Corraini, responsabile dell’Area Giuridico e Vertenze della Cgil.
Insomma, tra gli ideali e la necessità di «sporcarsi le mani» nella contrattazione, la Cgil cerca un equilibrio dignitoso: sapendo che non è scontato che l’invocata abrogazione dell’articolo 8 arrivi, e non sapendo quando, intanto si deve lavorare mentre questo è in vigore. Maurizio Landini ricorda che «questa legge è stata richiesta esplicitamente dalla Fiat per coprire gli accordi che aveva fatto, primo tra tutti quello di Pomigliano». «Più volte ci è stato detto – ha aggiunto il leader della Fiom – che Pomigliano sarebbe stato un caso irripetibile: e invece vediamo che è diventato il modello, e che Sacconi ha portato a termine una strategia a lungo termine cominciata con la legge 30. Mentre noi, e le nostre forze politiche, abbiamo sottovalutato quello che succedeva: non ci rendiamo conto che in questo modo non solo vogliono cancellare il contratto nazionale, le tutele costituzionali e le leggi a garanzia di chi lavora, ma anche noi stessi, il sindacato».
«I lavoratori hanno bisogno della protezione assicurata dal diritto del lavoro, perché è normale che siano più deboli rispetto all’impresa, soprattutto nella crisi e nel confronto a livello aziendale – ha concluso Landini – Per questo oltre a cancellare l’articolo 8, dobbiamo porre le basi per una vera rappresentanza e democrazia nei luoghi di lavoro, facendo in modo di avere una legge che impedisca i contratti separati e i ricatti».
Umberto Carabelli, dell’Università di Bari, uno degli autori del numero speciale della Rivista giuridica del lavoro dedicato alla «Legge Fiat-Sacconi», ha analizzato a sua volta la genesi dell’articolo 8, e la sua anticostituzionalità : dalla legge 30 (o «Biagi») che con la certificazione già smontava la centralità della legge, passando per il Collegato Lavoro, che indeboliva i giudici, fino all’ultimo «regalo» di Sacconi. Dopo quell’accordo confederale del 28 giugno 2011, «che pure apriva ai contratti decentrati, ma lasciando il controllo centrale a quelli nazionali», che sancì l’intesa tra Susanna Camusso e la Confindustria di Emma Marcegaglia, ma che poi fu attaccato pesantemente da Marchionne, che pretese appunto l’articolo 8 dal governo Berlusconi.
Serena Sorrentino, segretaria Cgil, ribadendo alla politica la richiesta di «cancellare l’articolo 8», afferma che intanto si deve cercare di tornare il più possibile allo spirito del 28 giugno, d’intesa con le imprese quando si riesce, senza accettare accordi al ribasso, e insieme lavorando per un accordo – e magari una legge – sulla rappresentanza e la democrazia.
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