Boston, individuato l’attentatore Lettera al veleno diretta a Obama

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BOSTON — Prima la voce che spezza una mattinata di nervosismo, tra investigatori di Boston che non sembrano avere una pista e le notizie di nuove buste avvelenate e pacchi sospetti che arrivano dal Congresso e, soprattutto, dalla Casa Bianca, dove nel mirino c’è lo stesso Obama: «L’hanno preso: hanno identificato l’attentatore della maratona attraverso i filmati delle telecamere di sorveglianza. E l’hanno arrestato». Tutti di corsa davanti al tribunale dove il presunto colpevole dovrebbe comparire per l’incriminazione. Ma ben presto arriva la smentita: «Hanno delle immagini nitide, hanno una faccia. Ma non sanno di chi è».
Sconforto e caos: mentre gli esperti della Cnn smentiscono l’arresto prima ancora che lo facciano ufficialmente l’Fbi e il ministero della Giustizia, la rete televisiva Fox insiste a lungo che tre fonti autorevoli le hanno confermato la cattura. Quantomeno sarebbe certa l’identificazione dell’attentatore. Mentre i giornalisti si interrogano — davvero nessun arresto o non vogliono annunciarlo per non compromettere la ricerca dei complici? — arriva la notizia di un’altra emergenza: il Women’s Hospital di Boston, dove sono ricoverati molti feriti dell’attentato di lunedì, è stato circondato dalla polizia. Forse verrà  evacuato. Un altro attacco? O uno dei feriti è sospettato di essere l’attentatore? Alla fine l’allarme rientra: pare sia stato provocato da una telefonata minatoria che ha costretto la polizia a setacciare le corsie dell’ospedale.
Il secondo giorno di indagini dopo le bombe della maratona è trascorso così: inseguendo voci, registrando l’identificazione della terza vittima, la 23enne cinese Lu Lingzi, studentessa di statistica alla Boston University. Aggiornando il conto delle vittime: oltre ai tre morti, 175 feriti, 13 dei quali hanno subito amputazioni.
E poi, soprattutto, ascoltando con inquietudine la raffica di notizie allarmanti che arrivano da Washington: dopo quella indirizzata al senatore Roger Wicker, consegnata martedì, un’altra lettera avvelenata con la ricina (proteina tossica che, se inalata, può uccidere) è stata intercettata a Washington. Destinatario lo stesso presidente Obama. Ma la lettera non è arrivata materialmente alla Casa Bianca: si è fermata negli uffici fuori città  che filtrano la corrispondenza indirizzata al governo proprio per prevenire casi come questo.
Ma, mentre il portavoce del presidente, Jay Carney, raccontava in una conferenza stampa l’episodio, cercando di sdrammatizzarne la pericolosità , e confermava che oggi Barack Obama sarà  a Boston insieme a Michelle per partecipare a una cerimonia religiosa e per portare conforto alle vittime, altri parlamentari del Congresso si sono ritrovati bersaglio di comportamenti sospetti: due edifici del Senato, il Russell Building e l’Hart Building sono stati chiusi ed evacuati perché i senatori Richard Shelby e Joe Manchin (repubblicano il primo, il democratico che ha negoziato l’accordo «bipartisan» sul controllo delle armi da fuoco il secondo), hanno ricevuto strani pacchi consegnati direttamente nei loro uffici da un misterioso «postino». E qui va ricordato che, in omaggio a una democrazia aperta, i cittadini Usa possono entrare liberamente negli edifici parlamentari. Devono solo passare attraverso un metal detector. Anche il senatore democratico Carl Levin ha denunciato una lettera sospetta che, però, non è arrivata a Washington ma nel suo ufficio in Michigan.
Gli interrogativi si accavallano, anche se non ci sono prove di un collegamento tra l’attacco di Boston e la minaccia delle lettere avvelenate che sconvolgono la vita nel Congresso, proprio nel giorno in cui il Senato è chiamato a votare l’attesissima riforma sul controllo delle armi. Nel tardo pomeriggio arriva il voto: 54 senatori su 100 votano per i controlli, ma non bastano per raggiungere la maggioranza qualificata di 60 necessaria per evitare il blocco del provvedimento.
Un Obama scuro in volto, davvero furibondo, commenta alla Casa Bianca la sconfitta parlamentare, circondato dalle famiglie della strage di Newtown, in lacrime: «Questo è un giorno di vergogna per Washington. Il 90 per cento del Paese è per queste misure, la maggioranza dei senatori ha votato a favore eppure il provvedimento, per le distorsioni del funzionamento del Senato, non è passato. Che tipo di rappresentanza politica è questa?».
A Boston, intanto, la polizia cerca febbrilmente di dare un nome all’uomo (qualcuno dice una donna) ripreso dalle telecamere di sicurezza.
Certo, non è quello che ci si aspettava qualche ora fa, ma è un primo spiraglio di luce. Casi di questo tipo quasi mai vengono risolti rapidamente. E quella dell’attentato di Boston è stata definita dalla polizia la «crime scene» più complessa di tutta la storia di questa città .


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