by Sergio Segio | 22 Aprile 2013 6:17
ROMA — Ci sono ancora vendette da consumare a freddo, nella disastrata famiglia del Pd. La catena di metaforici lutti non si ferma, ieri è stata Rosy Bindi, presidente dimissionaria del partito, a scagliarsi contro Pier Luigi Bersani: «C’è stata una autoreferenzialità quasi autistica da parte del gruppo dirigente». E a sfornare un giudizio che certo non accelera la corsa di Enrico Letta verso Palazzo Chigi: «Ho grande stima di lui e credo che sarebbe molto capace, ma di certo non è il momento». Un sentimento poco fraterno che lasciano trapelare in diversi, anche nell’area cattolico-moderata.
Con pari rancore parla Franco Marini, il grande vecchio della famiglia popolare mandato al massacro nell’arena dei grandi elettori, il primo giorno di votazioni per il Quirinale: «Questo partito non lo governa nessuno, la malattia è un dilagare di opportunismo… Il Pd deve recuperare credibilità , l’ha persa tutta». Non solo per colpa di Bersani, che Marini ritiene meno colpevole di altri. Ma non è Matteo Renzi, per l’ex presidente del senato, colui che salverà i democratici: «Ha un’ambizione sfrenata, la freni o andrà fuori strada».
Quando un partito implode fino a rischiare una o più scissioni è questo che accade, le parole volano come coltelli e chi si è sentito escluso nella precedente gestione prova a riprendersi ciò che crede suo. «Basta con i soliti noti che fanno i soliti danni», è lo slogan coniato da Beppe Fioroni per chiedere al Pd di voltare pagina e parliamo di uno che, nelle ore crudeli del tradimento e della solitudine, è stato attento a non infierire troppo su Bersani: «Ho chiesto a Pier Luigi di ritirare le dimissioni, per essere il primus inter pares di una nuova cabina di regia».
La storica portavoce di Prodi, Sandra Zampa, si autosospende e accusa, dice che «volevano accoltellare Bersani, in realtà hanno ammazzato il partito». Una «ipocrisia collettiva» che l’onorevole non sopporta più: «Bersani è stato trattato in maniera ignobile, neanche contro Prodi sono mai stati così cattivi. È stata una resa dei conti dentro casa». Ora la casa non ha più un tetto né una guida, tra una manciata di ore Napolitano aprirà le consultazioni e i «dem» litigano su chi dovrà rappresentarli.
Bersani? A norma di Statuto «il segretario rappresenta il partito», ma l’ex ministro si è dimesso e con lui l’intera segreteria. Letta, allora? Non è escluso, anche se di lui si parla come possibile candidato premier. Di certo andranno i capigruppo Speranza e Zanda, ma la delegazione completa sarà formalizzata solo domani. Lo stato maggiore del partito si vedrà in Aula a Montecitorio per il giuramento del capo dello Stato e sarà allora che i leader uscenti cercheranno una prima bozza di accordo.
Il percorso che Bersani e Letta proporranno al partito è questo. Domani si riunirà la direzione nazionale per stabilire chi sarà a guidare i democratici fino al congresso e dunque chi salirà al Quirinale per le consultazioni. Il parlamentino del Pd deciderà anche con quale mandato la delegazione dovrà affrontare le consultazioni e qui l’ala dialogante intende affidarsi in pieno a Napolitano. Lo scontro sarà inevitabile, vista la forte opposizione della sinistra, attratta da Vendola e dalle sirene grilline, a un governo di larghe intese con il Pdl. Uno scenario che la Bindi stronca a Sky da Maria Latella, chiedendo che nella stanza dei bottoni entrino «tutte le correnti». E poiché, in vista del congresso la guerra generazionale è iniziata, l’ex presidente rinfaccia a Bersani l’aver pensato di «vincere rottamando». La prova che «è stato un errore» sono «i giovani franchi tiratori».
Le nuove leve, che sgomitano per affermarsi nel partito che sarà , si muovono trasversalmente. «Ogni Giovane turco ha un padrone diessino e ogni ussaro bianco ha un padrino cattolico-democratico», sintetizza un parlamentare. Alessandra Moretti si scaglia contro la vecchia guardia con parole che rendono il clima: «Non mi porteranno nella tomba con loro». Entro dieci giorni si riunirà l’Assemblea nazionale, cui spetta il compito di convocare il congresso.
Matteo Renzi, il quale non aspira a investiture dall’alto, conferma di essere pronto a «dare una mano» al partito. Non si chiama fuori e domani prenderà parte alla direzione. La necessità di rifondare il Pd agita con forza le correnti. L’area cattolico-moderata, che ha sofferto l’esclusione dalla cabina di regia bersaniana, chiede che d’ora in avanti sia data «rappresentanza nella collegialità a un partito che è plurale». Pesa l’esclusione dal cosiddetto «tortellino magico» di Bersani, il cerchio ristretto del leader nel quale erano ammessi, oltre agli emiliani Errani, Migliavacca e Fiamminghi, solo Letta e Franceschini. Per ora soltanto Epifani, Zanda e lo stesso Franceschini hanno chiesto a Bersani di riprendere le redini del partito, ma domani il fronte dei ripensamenti, sia pure tardivi, potrebbe allargarsi.
Verranno altri giorni duri, per chi ancora crede nel Pd. Lo scaricabarile continuerà , così come le occupazioni delle sedi locali in Emilia, Umbria, Piemonte… E intanto Nichi Vendola apre la fabbrica della nuova sinistra e denuncia «forze assai potenti» che, via Twitter, vorrebbero impedire la svolta. È ancora il nome di Rodotà il confine tra i due blocchi in guerra. Se il giurista è uscito sconfitto, sostiene Pippo Civati, è perché a non volerlo sono «quelli-di-sinistra-che-odiano-la-sinistra».
Monica Guerzoni
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