Bersani, ultimo tornante con le dimissioni

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È sollevato, Bersani. Convinto di aver fatto la scelta giusta salendo al Colle con il capo cosparso di cenere per chiedere, al vecchio compagno di tante battaglie politiche, di riprendere in mano il Paese dopo i «molti errori» commessi dai partiti. La bruciante sconfitta su Prodi, il tradimento dei fedelissimi, il passo indietro sull’onda dei veleni e ora questa giornata, che sembra di tregua. È vero che Massimo D’Alema lo ha sferzato buttando su di lui il fardello della bocciatura di Prodi, ma in compenso Napolitano ha avuto l’accoglienza che il segretario dimissionario sperava e la vittoria di Debora Serracchiani ha versato una goccia di ritrovato orgoglio nel bicchiere semivuoto del Pd. «Brava Debora e bravo il Pd», rialza la testa Bersani, pur riconoscendo che «il momento è molto difficile». In Aula, durante il discorso, il capogruppo Roberto Speranza gli mostra l’iPad con lo spoglio in Friuli, Bersani inforca gli occhiali, vede che il Pd è in vantaggio e spera, spera.
«Depresso? Affatto, Bersani è tranquillissimo», assicurano i suoi. Oggi lo attende il passaggio cruciale della direzione nazionale. Con la segreteria dimissionaria il partito è senza una guida, diversi dirigenti — Franceschini, Letta, Fioroni, Fassino, Epifani, Zanda — gli hanno chiesto di ritirare le dimissioni e la prima reazione di Bersani è stata di drastica chiusura: «È uno scoglio troppo alto», aveva detto a caldo. Adesso il quadro è cambiato, i capicorrente hanno visto il burrone in cui il Pd rischia di precipitare e si sono messi paura. «Pier Luigi, sei tu la persona giusta per traghettarci fino al congresso», ha provato a convincerlo Franceschini. E lo stesso ha fatto in serata Enrico Letta, nel corso di un faccia a faccia riservato. «Ci penso ancora stanotte — ha promesso a tutti Bersani —. Ma è davvero difficile che possa tornare indietro». Comprensibile, visto anche che non risulta alcun pressing da parte di D’Alema e Veltroni.
Che sofferenza, per il leader dimissionario, ascoltare il durissimo monito del presidente con le orecchie degli altri, dei cittadini italiani e dei dirigenti del Pd. Le bacchettate sono per tutti, è vero. Ma un passaggio di Napolitano suona come la condanna ufficiale del governo di minoranza, che Bersani per settimane aveva perseguito. Sulle «intese necessarie», poi, l’imbarazzo è evidente: invece di applaudire tira fuori gli occhiali dal taschino e dimentica di inforcarli. Quando poi il due volte presidente della Repubblica ricorda come «imperdonabile» la mancata riforma del Porcellum, che ha negato ai cittadini «la possibilità  di scegliersi gli eletti», Bersani mima un applauso e subito si ferma. E ancora, quando il capo dello Stato incalza sulla «sordità » delle forze politiche mezzo Pd scatta in piedi, ma non lui. Forse è solo stanchezza, perché Bersani non ha davvero nulla da eccepire. Per lui il discorso «è di una efficacia eccezionale» e Napolitano «ha detto quello che doveva dire». Abito scuro, camicia celeste e cravatta rossa, quando tutto è finito lascia l’Aula da un’uscita laterale, tenendosi alla larga dal plotone di telecamere in cortile. Difficile che oggi l’uomo di Bettola sorprenda tutti e accetti di riprendere il timone. Per Marina Sereni sarebbe una boccata di ossigeno: «Capisco l’amarezza e la stanchezza, ma è la persona più adatta…».
Monica Guerzoni


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