by Sergio Segio | 9 Aprile 2013 6:37
Le parole del presidente della Repubblica fotografano l’apparente immobilismo di Pdl e Pd a quasi un mese e mezzo dalle elezioni di fine febbraio; e cercano di indurre gli avversari a diventare interlocutori. Allora un compromesso fu «imposto» da «minacce e prove» che si chiamavano «inflazione e situazione finanziaria fuori controllo», e terrorismo come degenerazione «dell’estremismo demagogico».
Oltre, Napolitano non va. Citare il 1976, tuttavia, significa associare quell’emergenza all’attuale; e additare soprattutto a un Pd attestato col segretario Pier Luigi Bersani su una linea del «no» a qualunque collaborazione con Silvio Berlusconi, una strategia da non escludere a priori. Può darsi che la possibilità di un incontro fra i due, dato per probabile e poi escluso per giorni, possa segnare l’inizio di un approccio diverso. La disponibilità di Bersani a vedere il Cavaliere va apprezzata.
L’urgenza di cercare un’intesa su un candidato al Quirinale, per il quale si vota dal 18 aprile a Camere riunite, potrebbe risultare un acceleratore. Non c’è solo quella prospettiva, però. A meno di non rassegnarsi a elezioni anticipate addirittura in piena estate, il problema è di dare comunque un governo all’Italia. La forma e il modo sono secondari, se prevale questa consapevolezza. Non per nulla Napolitano cita il 1976, quando il Pci non entrò nella maggioranza a guida democristiana ma si limitò a una «non sfiducia» che permetteva di far passare i provvedimenti più urgenti. Stavolta, presumibilmente, ad appoggiare dall’esterno una maggioranza «avversaria» dovrebbe essere il Pdl.
Il problema è se il Pd accetterebbe un sostegno del genere; ma anche se il centrodestra sarebbe disposto a concederlo senza avere propri ministri. Un’alternativa, tuttavia, non c’è. Lo scenario di una rissa senza tregua rimanda al «tanto peggio tanto meglio» del partito grillino che oggi si prepara a occupare la Camera coi suoi parlamentari. Si indovina un riferimento anche a loro, quando Napolitano ieri esprime preoccupazione per «certe campagne che si vorrebbero moralizzatrici»; e che invece, «nel loro fanatismo», sono «negatrici e distruttive della democrazia».
Il Movimento di Beppe Grillo è stato finora il referente del Pd bersaniano, al quale invece non ha risparmiato insulti e dinieghi. Il fatto che quella sponda si sia confermata impraticabile potrebbe fornire una spinta a cercare una strada diversa. Non sarà facile. L’insistenza di Berlusconi su un Pd che perderebbe tempo, contrapposto a un Pdl che vuole «un governo stabile e forte», sa di tattica che non esclude l’eventualità del voto anticipato: un atteggiamento simmetrico ai «no» di Bersani al Pdl. Il vicesegretario del Pd, Enrico Letta, spera che un nuovo capo dello Stato spinga i partiti a fare quanto finora non è stato possibile: speranza comprensibile ma a oggi azzardata.
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