Alba dorata prima italiana

by Sergio Segio | 19 Aprile 2013 7:46

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ALBA ADRIATICA. Quella che chiamano la «Spiaggia d’argento» detiene un record da telefilm poliziesco: quattro omicidi negli ultimi quattro anni. A guardare i giornali, Alba Adriatica, 12mila anime all’estremo nord della costa abruzzese, sembra un catalogo di cronaca nera: non solo morti ammazzati, ma anche rapine, risse, accoltellamenti, giri di spaccio più o meno ampi, tanta prostituzione e pure qualche sparatoria in mezzo alla strada. Ora, con le elezioni comunali alle porte, l’almanacco potrebbe arricchirsi di un sindaco neofascista dichiarato, Stefano Flajani, designato non molto tempo fa «capo cantoniere abruzzese» di Alba Dorata Italia, la copia del movimento nazi che sta marciando sulle macerie di una Grecia distrutta dall’austerità . Le liste andranno presentate entro il 27 aprile, se Alba dorata avrà  i requisiti, sarà  il suo debutto elettorale nel nostro paese.
Quando un tipo di Trieste fondò l’associazione, dopo essere stato disconosciuto dai «padri nobili» ellenici, venne ridicolizzato da tutto l’arco dell’ultradestra italiana. Adesso però rischia di fare il colpaccio in un municipio certamente non di primo piano, ma che rimane comunque una bandierina da sventolare. L’attuale giunta di centrosinistra perde pezzi, il Pd si presenterà  con due liste diverse, e pure il Pdl se la passa malissimo a causa di faide interne e odi mai sopiti tra i vari capetti. Il resto è tutto in qualche lista civica più o meno improbabile e nel Movimento Cinque Stelle, oggetto del mistero della campagna elettorale. Flajani, va di corsa: le redazioni locali sono sommerse di comunicati stampa, i pezzi che escono online volano nelle condivisioni sui social network.
Il fulcro della propaganda di Alba Dorata è tutto in un dato: quasi il 15 percento dei residenti è extracomunitario, con l’aggiunta di un numero imprecisato di rom, stanziali sulla costa abruzzese da decenni: da Martinsicuro giù fino a Montesilvano. La convivenza con gli autoctoni è per lo più pacifica, ma negli ultimi anni le polveri si sono fatte incandescenti.
È la notte dell’11 novembre 2009, Emanuele Fadani, commerciante di videopoker, viene ammazzato di botte sotto casa di suo fratello. La corte d’Appello stabilirà  che a commettere l’omicidio è stato Elvis Levakovic, condannato a dieci anni e quattro mesi. Insieme a lui, dopo l’assoluzione in primo grado, prendono dieci anni anche Danilo Levakovic e Sante Spinelli. Nelle 40 pagine di motivazioni della sentenza i giudici scrivono che i tre non avrebbero voluto uccidere, ma solo dare una bella lezione a Fadani, che qualche tempo prima si era rifiutato di vendere loro una dose di cocaina.
La reazione di Alba Adriatica si consuma il giorno successivo all’omicidio: la fiaccolata di solidarietà  si trasforma in una carovana dell’odio «contro gli zingari». Scene mai viste in provincia: auto incendiate, sassi, fumogeni contro le finestre. La politica, in coro, quasi giustifica l’esplosione di violenza. È addirittura la polizia che prova a mettere un po’ di razionalità  nel caos: tredici denunce, e un comunicato per ribadire che «i rom sono cittadini italiani, con pari diritti e pari doveri rispetto agli altri».
Sarà , ma ad Alba Adriatica anche i bambini conoscono e disprezzano «la casa rosa, quella degli zingari», a due passi dalla stazione. Ed è proprio nell’edilizia che si intravede un altro spiraglio di questa piccola comunità  affacciata sulla costa. La speculazione edilizia degli anni ’60 ha prodotto file di casette molto british, due piani e giardinetto. Gli eccessi degli anni ’90 hanno portato palazzoni variopinti, d’estate affittati a prezzi da usura ai turisti, d’inverno base per le prostitute d’appartamento. Qualche mese fa, l’assessore al turismo Pierluigi Marziale è stato rinviato a giudizio per «concorso in violazione della legge sull’immigrazione», in quanto legale rappresentante di una società  che aveva messo a disposizione di un cittadino cinese un appartamento da utilizzare come finto alloggio per ottenere poi il ricongiungimento familiare.
E Flajani gode, scavalcando pure i grillini sul fronte dell’anti-casta: «Siete professionisti della politica, con i vaffanculo i cittadini di Alba non ci fanno mica la spesa».
Intanto, gli extracomunitari al pronto soccorso aumentano: non in Abruzzo, ma a San Benedetto del Tronto. Bisogna mettere chilometri tra l’autorità  e l’aggressore, ché la vendetta non passa certo per un’auto con le luci blu. Il 20 ottobre scorso, alle due del pomeriggio, davanti al bar Vittoria, l’albanese Leven Ferra, 30 anni, si prende una scarica di piombo in faccia. A sparare è un connazionale, Hysemi Perparim di 23 anni appena. In tre riescono a evitare i colpi di pistola e accoltellano il ragazzo. Davanti al gip viene fuori tutta la storia: Perparim avrebbe sparato per difendersi. Uno sgarro a una prostituta protetta da Ferra fa scattare l’agguato per punire il ribelle, ma Hysemi se l’aspettava e con sé aveva una scacciacani modificata.
La questura sa, la procura osserva, ma le denunce non ci sono e non si può che aspettare la fatidica «prossima volta»: tutti sembrano in grado di prevedere, nessuno riesce a intervenire.
La sicurezza è il grimaldello del consenso, da queste parti come altrove: il nemico non è alle porte, è stato costruito dentro casa. E nel segreto dell’urna vince sempre la paura.

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