A Napolitano il «sì» dei partiti

by Sergio Segio | 24 Aprile 2013 7:11

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ROMA — Voi, come del resto il gruppo di Scelta Civica, non mi fate nomi e vi affidate a me. Io potrei dire che mi affido a voi… E allora vi prego di riflettere su una circostanza: il Pdl ha avanzato una sola, secca, candidatura per Palazzo Chigi, quella di Giuliano Amato. Da qui si deve partire: che cosa ne pensate?
Ecco, quasi alla lettera, con quali parole Giorgio Napolitano si è rivolto ieri sera alla delegazione del Partito democratico, con cui ha chiuso il suo terzo giro di consultazioni per risolvere il rebus del governo. Poteva anche non farlo, quest’ultimo sondaggio. Ma ha deciso che doveva almeno aggiornare i suoi appunti, il Presidente, per verificare in via definitiva le volontà  delle forze politiche e in particolare del tormentato Partito democratico. Lo scenario era prevedibile, dopo l’aspra messa in mora dei partiti che ha irrigato il suo applauditissimo (come in una surreale ansia di autoespiazione) discorso di reinsediamento a Montecitorio. Si sono cioè resi «disponibili» tutti a seguire la scelta che farà  lui stamane. Così hanno dichiarato quelli che gli servono per costruire la «larga intesa» indispensabile per trovare il nuovo premier.
Il Presidente si è preso una notte per riflettere ancora, ma ormai tutto sembra chiaro: si va verso un incarico (pieno) a Giuliano Amato. È l’uomo con il profilo che più risponde all’identikit immaginato al Quirinale per la guida dell’esecutivo d’emergenza che serve al Paese: ha una consolidata esperienza parlamentare e istituzionale, gode di buona reputazione nelle Cancellerie europee e nei fori finanziari, possiede doti di mediazione e capacità  di dialogo, sarebbe in grado di assicurare immediata operatività  al governo.
Certo, a Napolitano non sfuggono alcune controindicazioni che, nel clima di cannibalismo tra nuova e vecchia politica, potrebbero «appesantire» — come si usava dire con il lessico della Prima Repubblica — la figura di quello che un tempo era chiamato il Dottor Sottile. Tuttavia, considerata ogni tara, nel calcolo costi-benefici steso dal capo dello Stato resta lui la personalità  più adatta e autorevole a ricoprire l’incarico. In pole position c’è quindi lui, sia pur con la sensazione della fatica. E quasi appaiato resta Enrico Letta, il cui nome è giudicato forse meno divisivo per i dirigenti democrat, ormai sull’orlo di una crisi di nervi. I boatos che per l’intera giornata sono echeggiati su Matteo Renzi, invece, a tarda sera si sono sgonfiati di colpo, come succede a certe effimere creazioni politico-mediatiche (in questo caso alimentate dentro «casa Pd» da quella parte di nomenklatura che stenterebbe a fiduciare Amato).
«Sono travagliato tra la necessità  di avere esperienza e competenza e il bisogno di dare un segnale di novità  e cambiamento al Paese»: questo ha ripetuto il presidente a diversi suoi interlocutori di ieri. Ora, la strada per uscire da un tale busillis è forse — se davvero alla fine prevarrà  Giuliano Amato — quella di escogitare qualche «sorpresa» nella composizione del governo. Così, Napolitano potrebbe suggerire al premier incaricato uno sforzo di fantasia nella selezione dei ministri, scegliendone magari qualcuno nella società  civile o tra tecnici di qualche area politica precisa ma non militanti. Figure comunque che, nell’ottica di Napolitano, dovrebbero essere «autorevoli e dialoganti».
Tutto questo va deciso entro la settimana, secondo un timing che il Quirinale vorrebbe fosse serratissimo: oggi l’incarico, giuramento giovedì (nonostante la festa della Liberazione), e già  sabato il voto di fiducia delle Camere.
Marzio Breda

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