Utopia. Uscita d’emergenza
Le vicende della cosa pubblica declinano fra falsi riformisti e disastri economici, leader pagliacci e fiammate di populismo. La salvezza, finché ci sono passione e speranza, può venire dalla massima circolazione delle idee. Fino a sondare le ipotesi dei sogni meno plausibili e del paradosso. Come faranno cinque giornate di discorsi, lezioni e spettacoli, dal 10 aprile a Torino
Quando le cose della vita pubblica prendono una certa piega, tanto più annunciata quanto meno prevista; quando tutto si scompiglia e si confonde tra leader pagliacci e disastri economici, riformisti fasulli e conati di populismo; quando si smarrisce il centro delle questioni, ma anche la logica che dovrebbe muoverle e perfino il buonsenso degli antichi proverbi della nonna…
Quando accade tutto questo, e sta accadendo oggi in Italia, forse la soluzione migliore è mettere in circolo quante più idee possibili, nella loro modesta e sfolgorante provvisorietà , finché si è in tempo, finché c’è voglia, e passione, e cultura, e spirito, e speranza.
Il 10 di aprile si apre a Torino la terza edizione di Biennale Democrazia. Titolo: Utopico. Possibile?. Cinque giornate di discorsi, lezioni, dibattiti, spettacoli. Quattro percorsi tematici, di cui uno significativamente dedicato al futuro del continente africano – e non sia mai che proprio da laggiù venga qualcosa di utile alla nostra democrazia: desolata, stravolta, sorda, dissipata, vuota – e non solo perché il sangue della storia si asciuga in fretta e presto si dimentica chi è morto per la democrazia. Che è in crisi, a cominciare dalla parola. Sempre più stancamente la si ascolta e la si declama con faccia tosta e compunta nei battibecchi dei talk-show, spesso contrabbandandola con la nozione di maggioranza. E se suona come una bestemmia, pazienza: ma dove diavolo sta, dove si è nascosto questo demos intangibile, ignoto, incorporeo? E quando mai ha governato?
Fino a giungere, percorso il solito sentiero lastricato di ottime intenzioni e democraticissime, al dubbio dei dubbi, al sospetto terminale e per giunta avvalorato dal paradosso churchilliano secondo cui non c’è sistema migliore eccetera, per cui non è altro, la democrazia, che un trucco, l’ennesimo, atto a giustificare il governo, anzi il potere, di più il dominio dei pochi sui molti.
A questo siamo dunque. Sennonché, un laboratorio di cultura non deve aver paura di sporcarsi; né, per quanto riguarda lo specifico italiano, deve temere di confrontarsi con una delle più sensate e dolorose testimonianze che si sono lette negli ultimi mesi, da parte di Goffredo Fofi: “La tragedia vera della mia generazione, dei cosiddetti alfabetizzatori, è che ci siamo confrontati con un popolo che era straordinario quando era analfabeta e poi – quando ha imparato a leggere e a scrivere e messi da parte un po’ di soldi – è diventato un popolo di mostri e di servi. Era giusto lottare per l’emancipazione, però nel momento in cui i morti di fame hanno avuto la pancia piena si sono rivoltati ai valori di comunità , solidarietà , giustizia sociale per cui erano stati affrancati. Questo popolo che ho amato follemente è diventato tutt’altro che amabile. Se penso a chi è oggi il mio prossimo, il mio prossimo è il Trota”.
Vero è che Fofi, meritoriamente, pone come sfida democratica “il recupero dei babbei” e degli “analfabeti laureati”. Ma è anche vero che tale missione deve vedersela con la più mostruosa dilatazione di un immaginario politico ormai denso di macchine mitologiche e favolistiche, aperto a feticismi, messianismi low cost, arcaismi di ritorno, apocalissi light, e sempre più segnato da euforie, anche chimiche, gastronomie, dietrologie, parodie, geriatrie, meteorologie e magie con le dovute ricadute psichiatriche.
O almeno. A rivedere il film dell’ultima campagna elettorale c’è da rabbrividire: maschere, ventriloqui, danze tribali, orgasmi multipli, pupazzi, animali totemici, cagnolini, giaguari, per non dire i rincretinimenti e gli immiserimenti da Twitter. E anche qui, scorrendo la lista dei prestigiosi relatori, viene da chiedersi se arriverà una risposta su cosa significa e cosa ha a che fare, tutto questo, con i destini della polis e/o con quelli dell’oikia.
Ma intanto è certo che si archiviano le grandi narrazioni collettive del secolo scorso, frana la struttura piramidale dello Stato, si dissolvono i paradigmi interpretativi, si rompe il contratto sociale, si ritira la delega. Esaurita la rappresentanza, figlia della parola scritta, e consumata la rappresentazione, che ha ottenuto dalla tv la sua massima intensità , le piattaforme digitali favoriscono la presentazione degli utenti che tuttavia sbeffeggiano ed eludono gli impianti sui quali si è fatta, scritta, letta e vissuta la politica da qualche secolo.
E pare di cogliere una nemesi, o forse è solo la storia che ha dentro di sé i suoi antidoti. Ma chiusi nei loro muniti serragli i politici penultimi hanno favorito l’arrivo dei “barbari”. A forza di evocare gli Ufo, sono arrivati gli alieni. A forza di invocare il sogno, con la dovuta citazioncella di Martin Luther King, ecco che gli arriva addosso l’incubo. E a forza di fare i buffoni, è arrivato il Buffone vero, il castigo di Dio, l’agente di deflagrazione, con il che il futuro è già finalmente in azione.
Utopico, quindi, e possibile? Boh. Ma nel frattempo in fondo è già una consolazione non ritrovarsi a compulsare l’orizzonte tenendo in mano la bozza Chiti sulle riforme istituzionali, improvvido monumento all’inconcludenza della classe politica, paralizzati dal solito, vano dilemma d’inizio legislatura: Bicamerale o Costituente?
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