by Sergio Segio | 20 Marzo 2013 8:39
PECHINO. I colonnelli di Zhu Rongji sono al lavoro. La Cina sta per mettere in piedi un piano di riforme che gli esperti considerano di pari portata a quello degli anni 90. Periodo che stravolse il paese, portandolo definitivamente nel campo neoliberista, attraverso una serie di privatizzazioni (aziendali e di terreni) che hanno cambiato il volto della Cina: urbanizzazione delle grandi città , espulsione di forza lavoro dalle aziende statali.
Le nomine di Li Keqiang vanno in quella direzione: il vice premier Ma Kai, il ministro delle finanze Luo Jiwei e il governatore della banca centrale Zhou Xiaocun erano gli uomini di Zhou nella commissione che negli anni 90 diede il via alla «ristrutturazione» economica della Cina. Secondo gli esperti citati dalla Reuters, Pechino sarà costretta ad aumentare la produttività economica in maniera massiccia anche perché prevede di spendere 40 miliardi di yuan (oltre 6mila miliardi di dollari) per la sua fase successiva di sviluppo urbano, delle medie città . Un nuovo fenomeno migratorio che prevede lo spostamento di 400 milioni di persone dalle campagne alle città nel prossimo decennio. In attesa degli incontri di alto vertice autunnali che dovranno dare il via alle riforme, la Cina pensa soprattutto alle questioni fiscali per cercare di ridistribuire reddito promuovendo il consumo privato in modo da dare linfa al mercato interno, visto che la crisi occidentale ha portato alla contrazione del modello cinese basato sull’export. Proprio l’urbanizzazione viene vista come il primo importante passo, con una precisazione. La Cina non ha nessuna intenzione di congestionare ancora le proprie metropoli, dove anzi i migranti devono trovare cittadinanza (magari con la riforma dell’hukou). Li Keqiang insiste molto sul concetto di chengzhenhua, anziché chengshihua. Laddove il primo termine indica le medie città e il secondo le metropoli.
L’idea è saltare un passaggio: convertire il proprio modello economico a un sistema incentrato sui servizi, dove anche i migranti, anziché diventare proletariato addetto alle attività della fabbrica del mondo, possano diventare ceto medio, spendere e attivare il consumo interno, obiettivo primario del governo. Che poi questo nuovo ceto medio possa diventare una spina nel fianco del Partito comunista in termini di rivendicazioni (qualità vita, sicurezza alimentare, inquinamento) sarà qualcosa che evidentemente Pechino pensa di poter gestire.
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