Una scelta polemica che aggrava la crisi e fomenta le divisioni

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E le dimissioni polemiche di Giulio Terzi, delle quali il ministro degli Esteri non aveva informato né il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, né il premier Mario Monti, sembrano fatte apposta per fomentare lo scontro. E pensare che il capo dello Stato aveva additato l’esigenza di un’unità  nazionale.
Lo scarto di Terzi, invece, arrivato dopo pasticci e errori a catena del governo, si presta ad un uso strumentale e quasi elettorale. Accelera la liquidazione del governo dei tecnici. Cerca di scaricare su palazzo Chigi la responsabilità  del comportamento ondivago tenuto sulla vicenda dei due marò italiani rispediti in India. E indebolisce non solo la loro posizione di imputati, accusati di avere sparato, uccidendoli, due pescatori indiani scambiati per pirati. Riporta l’Italia in testa alle notizie dei massmedia mondiali per un altro atto di autolesionismo politico e diplomatico, con un contorno di veleni e di confusione che era bene risparmiarsi. Oggi Monti riferirà  al Senato dopo avere assunto l’interim degli Esteri, ma lo sfondo è sconfortante.
Tra l’altro, Terzi tenta di porsi alla testa del fronte che era contrario al ritorno dei due marò in India, e accusa neanche troppo larvatamente palazzo Chigi e il Quirinale di avere cambiato idea. Eppure, la decisione di farli ritornare e affrontare il processo era maturata per timore di ritorsioni contro il nostro ambasciatore a Nuova Delhi, al quale le autorità  indiane impedivano di lasciare il loro Paese; e per scongiurare riflessi negativi sull’interscambio commerciale con l’India ma anche con altre nazioni asiatiche. Comunque la si guardi, si tratta di una vicenda imbarazzante per mancanza di visione e capacità  di gestione politica; e per la sottovalutazione inspiegabile.
Dopo l’errore iniziale della nave italiana che ha lasciato le acque internazionali e si è lasciata sequestrare dalle autorità  dello Stato indiano del Kerala, la storia si è solo complicata. L’incidente è stato affrontato come se ci si trovasse di fronte una nazione minore del Terzo Mondo di mezzo secolo fa, e non a una potenza regionale decisa a impartire unilateralmente lezioni a uno Stato occidentale; e divisa da contrasti e rivalità  fra singole amministrazioni, che hanno usato i due marò anche per scopi di politica interna. I «due italiani» sono serviti infatti per mettere in imbarazzo Sonia Gandhi, «l’italiana» presidente del Partito del Congresso: tentativo riuscito con la scelta di farli rimanere in Italia.
La Gandhi è stata costretta a definire inaccettabile la scelta della Farnesina di prolungare a tempo indefinito la «licenza elettorale» concessa dall’India ai due marò. E, dopo le polemiche sul loro ritorno e le dimissioni di Terzi, che in Parlamento si è dichiarato contrario alla decisione di Monti, il caso è destinato a entrare in campagna elettorale. Col centrodestra che plaude all’ex ministro degli Esteri per colpire Monti, e si schiera dalla parte di famiglie comprensibilmente disperate. E il presidente della Repubblica e il capo del governo costretti a manifestare «stupore» perché Terzi non aveva comunicato le sue intenzioni. È stato detto che è la fine rovinosa del «governo dei tecnici», e probabilmente è vero: il finale è inglorioso e proprio sul piano internazionale. Ma il timore è che stia avvenendo qualcosa di più grave, che riguarda l’Italia come Paese e la sua credibilità  in caduta libera.


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