by Sergio Segio | 1 Marzo 2013 15:56
Gli ortodossi, i movimentisti radicati nel territorio e i pragmatici di un movimento che rivendica di esprimere «buone idee» postideologiche L’armata di Grillo (Edizioni Alegre, pp. 125, euro 12) di Matteo Pucciarelli parte dalla vicenda del dissidente Favia che «a microfoni spenti», mentre stava prendendo un caffè con l’inviato di Piazza Pulita Gaetano Pecoraro – in onda su La7 – affermava che «da noi la democrazia non esiste». È bastato quel fuori onda perché Favia fosse espulso dal Movimento 5 stelle.
Dopo la prima pubblicazione sul fenomeno della Nuova Sinistra degli anni Settanta, in cui ha esaminato in particolar modo Democrazia Proletaria, Matteo Pucciarelli analizza, stavolta, il fenomeno a 5 stelle partendo dai V-Day. I vaffa-day ormai sembrano relegati alla preistoria o ad un presente già passato, trascorso e superato: lì il Movimento 5 Stelle non esisteva.
C’erano, però, come tanti piccoli embrioni, le liste civiche «amici di Beppe Grillo» che riportavano, comunque, l’indirizzo del blog di Beppe e le 5 stelle. La nascita «ufficiale» del movimento è indicata nel 4 ottobre 2009, giorno di un incontro al Teatro Smeraldo di Milano. È da lì parte ufficialmente la storia del movimento con la «V» maiuscola in memoria dei vaffa-day; da lì parte la storia di Beppe Grillo leader/megafono/capopolitico; da lì parte un’avventura; da lì parte il «contro tutto e contro tutti».
Oltre che a ricostruire le vicende dei «dissidenti», il volume si concentra sul rapporto tra Grillo e Casaleggio, tra la «base» e il loro «megafono» per tracciare una «geografia» del Movimento 5 stelle, operazione utile alla luce del successo elettorale. Gli attivisti del movimento si dividono tra «pragmatici», «ortodossi» e «anima movimentista». Pragmatico era Favia, ma pragmatico è anche Federico Pizzarotti, il sindaco di Parma. Anche il consigliere Biolè è inserito in questa sezione: 35 anni, eletto a Cuneo con 737 preferenze, noto ai più per aver sottoscritto la reversibilità dell’assegno vitalizio alla moglie «a cui secondo le regole M5S avrebbe dovuto rinunciare».
Nella seconda sezione, quella degli ortodossi, figurano esponenti diversi tra loro ma identici nell’«uniformità » nel condannare gli sprechi, anche a 5 stelle: Bugani, capogruppo a Bologna, aveva chiesto spiegazioni a Favia e Defranceschi sull’utilizzo dei fondi.
Nell’ultima sezione ci finisce Putti che si differenzia da tutti gli altri perché preferisce la politica tradizionale sul territorio a quella sulla Rete. Il capitolo «destra, sinistra, oltre» è il capitolo che può offrire elementi di comprensione sull’identità «teorica» del M5s.
Gli attivisti a 5 stelle affermano di non essere legati a nessuna ideologia, anche se hanno destato scandalo, nelle settimane scorse, le aperture di Grillo a Casa Pound. La dimensione post-ideologica, afferma l’autore, è la forza di questo movimento. Per i grillini, ormai è noto, «non esistono idee di destra o di sinistra» ma solo buone idee.
Ma le buone idee a volte devono poter essere suffragate da una qualche base comune, da un sentore «x» che sia da veicolo per una passione «y»: non basta essere accomunati dal semplice sentimento di «smascherare la casta» per poter andare avanti, anche perché l’ideologia della fine delle ideologie è la peggior ideologia.
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