Un milione e mezzo in piazza Ma il governo resta sordo

by Sergio Segio | 5 Marzo 2013 8:33

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LISBONA. Ogni mese che passa il Portogallo impressiona per la capacità  di mobilitazione dei suoi cittadini. Ultima ma non ultima l’incredibile manifestazione di sabato scorso in cui, secondo gli organizzatori, il movimento Que se lixe a Troika (che si fotta la Troika), avrebbe radunato un milione e mezzo di persone un po’ in tutte le città  del paese.
Non c’è da stupirsi perché dopotutto quello che in Italia chiamiamo genericamente movimento degli indignati nasce proprio qui in Portogallo, il 12 marzo del 2011. Allora c’era ancora il governo guidato dal socialista José Socrates e il paese non aveva ancora dichiarato ufficialmente bancarotta. Il movimento si chiamava Geraà§à£o a Rasca e aveva per inno una bellissima canzone cantata dai Deolinda, Parva que eu sou.
A stupire però è la sostanziale mancanza di risultati: milioni di persone per strada e una maggioranza parlamentare sostanzialmente sorda rispetto alle richieste di equità  sociale. Governo, opposizione socialista e Troika sembrano non trovare ostacoli alle loro politiche e procedono come un rullo compressore schiacciando ciecamente e ostinatamente ogni ostacolo.
Stupisce poi che negli ultimi mesi i partiti di governo registrino nei sondaggi un aumento dei consensi abbastanza significativo e che le sinistre dichiaratamente anti Troika restino al palo in un paese sempre più devastato dalla crisi economica.
Ci si potrebbe chiedere se non sia un controsenso il fatto che i partiti di governo non crollino nelle intenzioni di voto a fronte di manifestazioni sempre più partecipate. Per capire meglio basta leggere in modo più approfondito il sondaggio e i dati che emergono sono davvero poco confortanti: coloro che rispondono di non volere votare hanno raggiunto il tetto astronomico del 46%. Del 54% di coloro che si dicono disposti ad andare a votare il 10% voterebbe in bianco o annullerebbe la scheda e il 2% si dice indeciso. Sommando tutti i dati il risultato è che più del 50% dei portoghesi non si riconosce in nessun partito oggi esistente.
Insomma quello che in sostanza sembra emergere è un paradossale vuoto politico in presenza di uno dei maggiori movimenti della recente storia. Gli organizzatori rivendicano la loro autonomia da partiti e sindacati, anzi, sotto molti aspetti manifestano una sorta di fastidio nei confronti di chi, chissà  poi sulla base di quale principio, viene ritenuto comunque co-responsabile del disastro pur non avendo in realtà  mai avuto ruoli esecutivi.
Il movimento Que se lixe a Troika appare come un sostanziale calderone dove al di là  del momento della protesta, lotta all’FmiI e alle politiche di austerità , si fatica a intravedere una piattaforma solida di alternativa rispetto sia al vecchio governo caduto un paio di anni fa sia al nuovo ben più feroce che gli è succeduto.
Siccome in politica i vuoti sono destinati a essere riempiti a fare da scuola potrebbe essere ancora una volta l’Italia. Le onde del terremoto rappresentato dalle ultime elezioni politiche 24/25 febbraio scorso sono arrivate virulentemente anche da queste parti. In fondo, a ben guardare, pur con i dovuti distinguo che certo sono importanti, il Movimento 5 stelle guidato da Beppe Grillo non è del tutto dissimile da alcuni settori del movimento portoghese: rifiuto delle istituzioni, discorsi sostanzialmente interclassisti in cui la contrapposizione non è più tra destra e sinistra ma tra “popolo” e “potere”, diffidenza nei confronti del sindacato e issues di ogni genere e tipo, pur in contraddizione tra loro, capaci di fare breccia in ampi strati della società .
Daniel Oliveira, uno dei più intelligenti osservatori politici, ha sottolineato in un editoriale di sabato scorso su l’Expresso, facendo esplicito riferimento a quanto succede in Italia che «se l’opposizione non riuscirà  a breve a (rap)presentare un’alternativa credibile e il principale partito della destra si disgregherà , chi per primo riuscirà  ad approfittarsi di questo momento, siano essi populisti, commedianti o statisti, potrà  causare un terremoto politico».

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