Un commento misurato che però non nasconde il rischio di paralisi
L’appuntamento è lontano un mese. Eppure, se la deriva polemica fra i partiti continuerà sulla traccia delle proteste sconcertanti degli ultimi giorni, la spaccatura sarà inevitabile. E rischia di allontanare la possibilità non solo di trovare un consenso trasversale e ampio, ma anche soltanto una maggioranza che esprima una candidatura di respiro e di profilo internazionale. La minaccia del Pdl di non partecipare alle elezioni per i vertici di Senato e Camera sembra fatta apposta per sospingere Pd e Movimento 5 Stelle verso un qualche accordo; o comunque per radicalizzare la situazione e la corsa al Quirinale.
La manifestazione organizzata l’altro ieri dal Pdl al Tribunale di Milano evoca uno scontro istituzionale fra i seguaci di Silvio Berlusconi e la magistratura, foriero soltanto di un’involuzione. Il capo dello Stato ha accettato di ricevere una delegazione del Pdl guidata da Angelino Alfano, segretario del partito ed ex Guardasigilli. Ma Napolitano non ha potuto evitare di esprimere almeno «rammarico»: parola misurata dietro la quale si intravede tuttavia molto di più in termini di disapprovazione. Il tipo di protesta inscenato in Procura e nella piazza davanti, con tutti i parlamentari del Pdl a gridare contro giudici a loro avviso politicamente faziosi, non è stato un bello spettacolo.
Il presidente della Repubblica ha ribadito di non potere né volere intervenire in atti che spettano alla magistratura. Anche se Napolitano si è sforzato di sottolineare che politica e ordine giudiziario non sono poteri ostili. Si è appellato «a un comune e generale senso di responsabilità , perché non appaia messa in questione né la libertà di espressione di ogni dissenso né l’autonomia e l’indipendenza della magistratura». Ma in serata ha detto qualcosa di più. Ha precisato che «non è da prendersi nemmeno in considerazione l’aberrante ipotesi di manovre tendenti a mettere fuori giuoco» per via giudiziaria, «come con inammissibile sospetto si tende ad affermare, uno dei protagonisti del confronto democratico e parlamentare nazionale». Il tentativo di riequilibrare una situazione destinata a incattivirsi e a sfuggire a qualsiasi controllo è evidente. Acuisce infatti la difficoltà di individuare una soluzione per il governo, già complicata dai rapporti di forza emersi dalle urne. E può favorire chi punta a tornare al voto sfruttando i veti incrociati, scaricando sul Paese l’incapacità o il rifiuto di siglare una tregua fra Pd e Pdl. Certamente, la situazione processuale di un Berlusconi in bilico, spaventato dalla prospettiva di condanne a ripetizione, rende tutto più difficile. Irrigidisce il suo partito, in trincea per difendere il leader da una procura definita persecutoria perché gli manda il medico fiscale in ospedale per due volte. Ma tende a estremizzare anche l’atteggiamento di un Pd che usa i processi per negare il dialogo col centrodestra; e forse è tentato dalla prospettiva di sconfiggere il Cavaliere con le sentenze.
Col sostegno di Beppe Grillo, potenziale alleato, che invita Berlusconi «alla latitanza»; e dà l’impressione del capo partito che, preparandosi ad una trattativa col Pd, strilla contro un avversario facile per mantenere intatta la sua identità antipartitica. Sono istantanee di un’involuzione che risucchia il sistema su posizioni ereditate dai momenti peggiori della Seconda Repubblica; e non offre grandi prospettive a questo inizio di legislatura. L’impressione è che la via d’uscita al dopo-Monti sia ancora lontana. Il premier dimissionario aspetta di capire verso che cosa si sta andando; e nel frattempo si tiene lontano con il suo partito Scelta civica da ogni gioco. Ma risse e immobilismo non possono durare a lungo.
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