by Sergio Segio | 1 Marzo 2013 15:54
Una sintesi di tantissimi spunti sviluppati nel corso degli ultimi decenni in tutto il mondo per creare le basi di un radicale «cambio di paradigma» nei meccanismi che regolano il rapporto tra uomo e natura e le tante forme di convivenza del genere umano: un paradigma che oggi è dominato dal pensiero e dalla prassi liberista, che è il volto assunto a livello ormai planetario dal capitalismo nella fase della sua globalizzazione; quello che ha portato il pianeta sull’orlo di un baratro economico, sociale, ambientale e culturale.
A farsi carico dell’ambizioso progetto di tracciare le linee di fondo di questo cambio di paradigma è Giuseppe De Marzo in Anatomia di una rivoluzione – Giustizia, ambiente e lavoro per invertire la rotta e battere la crisi (Castelvecchi, euro 17,50). De Marzo è fondatore e portavoce di A Sud, associazione impegnata nel campo della formazione, dell’informazione e della consulenza in campo socio-ambientale, e di una sua filiazione, il Centro di Documentazione dei Conflitti Ambientali (Cdca); ha una lunga esperienza di collaborazione con organizzazioni politiche rivoluzionarie dell’America Latina e una solida preparazione economica di tipo eterodosso: il suo libro è pieno di rimandi a testi di economisti, sociologi e filosofi per lo più ignorati dal dibattito economico mainstream, soprattutto in Italia.
Anatomia dell’ingiustizia
Il tema centrale del libro è enunciato nelle domande con cui si apre il primo capitolo: «Come e per quali fini una società giusta dovrebbe distribuire i diversi vantaggi che produce? Risorse, opportunità , libertà , come andrebbero distribuite? Come e per quali fini una società giusta dovrebbe distribuire i pesi richiesti per sostenerla? Costi, rischi, limitazione della libertà , come andrebbero distribuiti?» La domanda, come si vede, riguarda i costi e i benefici (in senso lato: non solo in termini di risorse, ma anche di opportunità e di libertà ) di una società giusta, che è il senso della rivoluzione di cui si effettua «l’anatomia». Ma il filo conduttore delle risposte non è un rimando alla giustizia come «valore», cioè solo come ideale morale o politico, per produrre una società migliore. È invece la dimostrazione che una maggiore giustizia praticata in ogni ambito della vita associata è l’unico modo per garantire la sostenibilità ambientale dei modelli di produzione e di consumo a cui devono indirizzarsi i comportamenti sociali, l’agire politico e le conoscenze teoriche del nuovo paradigma: cioè l’unico modo per salvare i pianeta e l’umanità dal disastro ambientale che ormai incombe su tutti.
Non c’è ambientalismo capace di tutelare gli equilibri ecologici della Terra se si prescinde dalla dimensione della giustizia nella ripartizione dei benefici, dei costi e delle opportunità : a livello sociale, cioè tra le diverse classi e i diversi gruppi sociali; a livello geografico, tra i diversi territori e le diverse nazioni; a livello intergenerazionale, garantendo un futuro anche a chi verrà al mondo dopo di noi; a livello «cosmico», garantendo specifici diritti a tutti i viventi, cioè anche alla «natura», alla «madre Terra». E, quindi, non c’è ambientalismo vero che possa ignorare o prescindere dal conflitto, sociale e politico, nei confronti di chi devasta la natura per sfruttare meglio gli umani, e sfrutta il prossimo per appropriarsi in misura crescente delle risorse della natura. Così come nessun conflitto sociale potrà assumere una prospettiva vincente, soprattutto sul lungo periodo, se non si indirizzerà innanzitutto al miglioramento del nostro rapporto con l’ambiente: a ridurre il prelievo, lo spreco e la distruzione delle risorse, da un lato; e la generazione e il rilascio di rifiuti e di inquinanti, dall’altro. Questione sociale e questione ambientale sono un tutt’uno. L’«anatomia della rivoluzione» propugnata – ma in parte già in corso, in milioni di iniziative e di conflitti, per lo più poco o per nulla conosciuti, e soprattutto scarsamente compresi – riconduce sempre al nesso tra giustizia e ambiente.
La giustizia, in questa accezione, non riguarda però soltanto un’equa ripartizione delle risorse naturali, anche se questa è una posta in gioco fondamentale e ineludibile. A monte della dimensione materiale della giustizia c’è la distribuzione del potere politico, che non può corrispondere al nuovo paradigma se non attraverso un suo radicale decentramento, da realizzarsi attraverso forme di partecipazione dal basso e di democrazia deliberativa che costituiscono la dimensione politica della rivoluzione. E a monte della riconfigurazione del potere politico c’è la questione del «riconoscimento»: cioè della necessità che a tutti i membri del consorzio umano venga riconosciuta una pari dignità . Questo mancato riconoscimento dell’altrui dignità si annida per lo più in forme che siamo portati a trascurare o addirittura a non vedere, perché si sviluppano lontano dai nostri occhi. È questo il caso del «razzismo ambientale», uno dei bersagli principali di questo libro; che è il modo in cui determinati modelli di consumo e determinate organizzazioni del lavoro e della produzione, quelle a cui siamo abituati quasi considerandoli un fatto naturale, presuppongono e si traducono in realtà in una sottrazione, a volte radicale, di risorse ambientali, e soprattutto di opportunità , e quindi anche di dignità , per intere popolazioni o gruppi sociali che si trovano magari agli antipodi del paese dove viviamo noi.
Le comunità sostenibili
Il problema del riconoscimento non riguarda tuttavia solo gli umani in senso stretto, ma anche i viventi tutti, gli ecosistemi e la natura come soggetti di diritti che vanno loro riconosciuti, anche perché non farlo mina e riduce progressivamente le condizioni stesse della vita umana; così come gli atteggiamenti predatori nei confronti del nostro prossimo minano, fino ad azzerarle, le possibilità dell’umana convivenza. È questa probabilmente – «il diritto della vita alla vita» – la parte più innovativa ed eterodossa del libro di De Marzo, anche se sui temi dei diritti della natura e del vivente c’è ormai una ricca messe di elaborazioni teoriche, e persino di produzione giuridica, anche di rango costituzionale, che il libro ci mette diligentemente a disposizione.
Così la rivalutazione del ruolo che la natura e il vivente svolgono nel rendere sostenibile e perfettibile la vita umana si salda con il ruolo che la salvaguardia dell’ambiente affida a una riorganizzazione radicale della vita associata. «Per costruire comunità sostenibili – afferma De Marzo nella parte conclusiva del suo libro – abbiamo bisogno di politiche che promuovano la completa riconversione ecologica della struttura produttiva ed energetica, dall’efficientamento energetico dei trasporto a quello abitativo, dalla riduzione dell’orario del lavoro alla formazione interdisciplinare, dall’organizzazione degli spazi urbani all’agricoltura sostenibile, dai consumi condivisi alle ecotasse, dallo stop al consumo di suolo alla produzione e distribuzione a km0, e così via».
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