Un amico americano per i movimenti

by Sergio Segio | 8 Marzo 2013 9:43

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Alla notizia della morte del presidente Hugo Chà¡vez il Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu ha decretato un minuto di silenzio. Per Ban Ki Moon, segretario generale delle Nazioni Unite, «Chà¡vez si è battuto per le aspirazioni e le sfide delle persone più vulnerabili fornendo un contributo decisivo per i nuovi movimenti di integrazione regionale, pur mostrando solidarietà  verso altre Nazioni del mondo».
Dichiarazioni e gesti che danno la cifra di una storia e di un personaggio che ha contribuito a restituire la dignità  negata per secoli agli impoveriti non solo del Sudamerica, spingendoli verso qualcosa di nuovo, rendendoli protagonisti di una storia che parte da lontano e che si proietta allo stesso tempo nel terzo millennio. I media nostrani hanno offerto invece il solito repertorio di caricature, falsità  e inesattezze, preoccupati di essere all’altezza dei cosiddetti “benpensanti” e ossessionati da dover demonizzare qualsiasi proposta politica possa confermare spazi di vittoria per una sinistra che sappia partire innanzitutto da chi è rimasto indietro.
Democrazia partecipativa
La scomparsa del presidente Chà¡vez interroga il futuro dei movimenti e della sinistra, non solo in America Latina, in un momento storico di profonda trasformazione in cui il mondo intero vive una crisi sociale e ambientale senza precedenti e alla quale le forme e le categorie classiche della politica non sono capaci di offrire risposte efficaci. Dentro questa crisi, i movimenti sono oggi più che mai consapevoli dei limiti della democrazia rappresentativa. Obiettivo di fondo è la costruzione di una democrazia partecipativa come strumento politico per realizzare la giustizia ambientale e sociale. Proprio questo passaggio, dalla democrazia rappresentativa e statalista ad una partecipativa in cui i cittadini possano deliberare, è uno dei punti chiave della nuova Costituzione bolivariana voluta da Chà¡vez già  nel 1999, prima dunque che diventasse, a partire dal primo Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre del 2001, uno degli obiettivi dei movimenti.
Che non basta dunque eleggere ottimi presidenti per arrivare a una vera trasformazione è un elemento già  acquisito sul quale la sinistra europea, più di quella latinoamericana, dovrebbe riflettere. In questo percorso, il presidente venezuelano è stato un amico e un alleato di strada fondamentale dei movimenti, riconoscendone e sostenendone proposte e pratiche. La dialettica e la reciprocità  sono stati il metodo della collaborazione, anche critica, tra il percorso portato avanti dal socialismo del XXI secolo di Chà¡vez e quello dei movimenti impegnati a conquistare il “buon vivere” giornaliero.
Gesti concreti e politici
A renderla forte non è stata l’emotività  o la simpatia nei confronti di un personaggio, che come tutti gli esseri umani può essere discutibile. Sono stati i gesti concreti e le scelte politiche. A partire da quelle adottate in patria, che hanno garantito un dimezzamento della povertà , l’aumento dei salari per le fasce più deboli, le nazionalizzazioni delle principali risorse naturali, gli investimenti per sostenere il diritto alla salute, all’istruzione e alla casa. Ma è stato soprattutto il contributo di Chà¡vez alle grandi battaglie internazionali ad aver creato una connessione concreta con i movimenti e con tutte le nuove soggettività  ascrivibili «all’ecologismo dei poveri». I processi di integrazione, portati avanti a partire dal continente latinoamericano, hanno costruito spazi commerciali, economici e giuridici improntati a una nuova relazione tra i popoli fondata sulla reciprocità  e la cooperazione.
Malgrado le contraddizioni
La politica estera di Chà¡vez ha agevolato il compito dei movimenti sociali nel promuovere la democrazia partecipativa e ha rafforzato le ragioni di una critica sistemica verso il modello neoliberista. Nonostante le contraddizioni del sistema produttivo venezuelano, da subito Chà¡vez ha saputo ascoltare le rivendicazioni dei movimenti per la giustizia climatica e per la sovranità  alimentare, che raggruppano oltre un miliardo di persone nel mondo tra contadini, attivisti, popoli indigeni, pescatori e comunità  impegnate a difendere i beni comuni. Nel 2009, ad esempio, durante il vertice sul clima di Copenaghen, dall’interno del palazzo Chà¡vez riprese il principale slogan dei movimenti per la giustizia climatica, «cambiare il sistema, non il clima», aggiungendo che «se il clima fosse una banca, il sistema lo avrebbe già  salvato».
Chà¡vez non ha rappresentato i movimenti ma ne ha amplificato il messaggio di cambiamento, rispettandoli e sostenendo concretamente la necessità  di un’etica nuova, fondata sulla giustizia e su una relazione armonica di tutta la comunità  della vita. Una critica più profonda rispetto a quella legata esclusivamente ai limiti del modello di sviluppo ed una proposta più ampia rispetto a una visione neoriformista, interna alla logica della governance liberista e quindi incapace di risolvere la crisi sociale ed ecologica da questa prodotta.
Sostenibilità  socio-ambientale
Nel tempo della crisi, per creare occupazione, risolvere le ineguaglianze sociali, difendere i beni comuni e rafforzare la democrazia partecipativa abbiamo compreso come ci sia bisogno non solo di ridistribuire la ricchezza ma di riconvertire il modello produttivo ed energetico, garantendo la sostenibilità  in termini ambientali e in termini sociali. Evidentemente il governo di Chà¡vez non ha risolto la seconda parte del problema ma ha dato un grande contribuito a decolonizzare l’immaginario quotidiano sul quale costruisce la propria egemonia culturale il modello liberista.
Questo contributo concreto rimane di grande utilità  e ci lascia allo stesso tempo due insegnamenti pratici: non basta tracciare la rotta, se questa non viene sostenuta innanzitutto da coloro che soffrono le ingiustizie; non basta agire sul piano locale quando la portata del cambiamento impone la necessità  di ritornare ad agire su un piano globale.
Due questioni che non possono essere eluse, sulle quali i movimenti dovranno misurarsi se non vogliamo che la crisi della politica releghi anche questi ai margini della storia.

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