by Sergio Segio | 5 Marzo 2013 8:42
La pena è stata ridotta da 16 anni e mezzo a 10 anni. Cade l’importante precedente della condanna per omicidio volontario di un industriale che causa con le sue omissioni la morte dei suoi operai. Si può ritornare a sperare nelle usuali «soluzioni all’italiana». Sembrava davvero, quando ci fu la condanna in primo grado, di essere su un altro pianeta, e non in Italia. Adesso, ci sentiamo più «a casa».
Ricordiamo i fatti: in seguito all’incendio divampato il 6 dicembre 2007, sulla «Linea 5» della Thyssen-Krupp di Torino, morirono per terribili ustioni 7 lavoratori: Giuseppe Demasi, Angelo Laurino, Rocco Marzo, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Antonio Schiavone, Roberto Scola.
Io, nel processo di primo grado, fui nominato Consulente tecnico di Parte civile, per l’Associazione «Legami d’Acciaio», che riuniva i parenti delle vittime e gli altri lavoratori Thyssen. Vorrei riportare qui le ragioni che – secondo me – rendevano una condanna per omicidio volontario l’unica vera giustizia.
La linea 5 funzionava in perenne violazione delle norme di sicurezza, in quanto – ad esempio – in costante presenza di olio infiammabile sul fondo dell’impianto, di residui di carta oleati ovunque, di fiamme libere e piccoli incendi praticamente costanti, in mancanza di squadre antincendio addestrate e con gli estintori scarichi. La linea funzionava oltre i normali regimi per sopperire a richieste pressanti: gli operai erano costretti a turni straordinari massacranti.
L’impianto presentava evidenti malfunzionamenti dovuti a usura e scarsa manutenzione, primo tra tutti le perdite di olio, e i frequenti guasti di tipo elettrico e meccanico. I vigili del fuoco, gli addetti ai gruppi di lavoro sulla sicurezza, i periti dell’assicurazione avevano ripetutamente raccomandato l’adozione di un sistema automatico di spegnimento incendi. Questa raccomandazione, adottata per analoghi impianti presso altri siti della ditta, era stata trascurata, in quanto la linea stava per essere chiusa e trasferita a Terni.
Le squadre di sicurezza e antincendio erano insufficienti o inesistenti, costitute da personale che non aveva completato (in nessun caso, neppure una persona) l’addestramento antincendio previsto dalla legge. Le procedure di emergenza e antincendio erano carenti e l’intero apparato di sicurezza al riguardo era in patente violazione della legge.
Gli operai dovevano frequentemente intervenire con estintori manuali per spegnere incendi che continuamente si formavano, senza sospendere la produzione, in violazione con mansionario e procedure. In caso di incendio grave, le indicazioni aziendali erano di provare a spegnerlo con ogni mezzo con gli estintori, prima di dare l’allarme: si doveva sopperire a qualsiasi problema evitando di interrompere le linee. Nel recente passato si erano verificati incidenti analoghi presso altri siti Thyssen, senza che nessun rimedio venisse adottato sulla linea 5 a seguito di essi. Nel luogo ove si è verificato l’incendio non vi era sistema automatico di rilevazione incendi.
È stato incredibile che l’incidente che ha causato la morte dei sette operai si sia verificato così tardi, viste le condizioni in cui funzionava l’impianto, ovvero in palese violazione di ogni norma di sicurezza. Tutto quanto era umanamente possibile per rendere probabilissimo il disastro era stato fatto o omesso dall’azienda. Una volta partito, l’incidente non era mitigabile, dati gli strumenti e la formazione forniti agli operai, ai quali nulla si può imputare se non l’aver accettato, per non perdere il posto, di lavorare in un impianto in simili condizioni.
*PhD Professor of Nuclear Power Plants- Denerg-Politecnico di Torino
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