Svolta sui marò, riconsegnati all’India

by Sergio Segio | 22 Marzo 2013 8:48

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ROMA — Se in queste quattro settimane non fosse successo di tutto — l’ira di Sonia Gandhi, i ripetuti diktat del governo indiano, perfino l’immunità  diplomatica negata al nostro ambasciatore Daniele Mancini, con tanto di divieto d’espatrio — si potrebbe dire che Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò italiani sotto processo in India per la morte accidentale il 15 febbraio 2012 di due pescatori durante un’operazione di antipirateria, sono rientrati a New Delhi alla normale scadenza del permesso di un mese concesso loro dal tribunale indiano il 23 febbraio scorso per poter votare in Italia. Il permesso scadeva proprio oggi e Latorre e Girone sono ripartiti nella notte. Già , ma nel frattempo tra i due Paesi è scoppiata una crisi diplomatica senza precedenti e forse soltanto adesso la tensione ricomincerà  a scendere: «La notizia del ritorno dei due marò in India è un bene per entrambi i Paesi», la conferma arriva dal ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid.
«La parola data da un italiano è sacra: noi eravamo pronti a rispettarla ma avevamo chiesto delle garanzie, in principio quella che non fosse mai contemplata per loro la pena di morte. Ora abbiamo ricevuto le garanzie e sulla base di queste manterremo la nostra parola», ha spiegato prima della partenza il sottosegretario agli Esteri italiano, Staffan De Mistura, che ha accompagnato in India i due fucilieri. La spiegazione del sottosegretario, però, non sembra coincidere affatto con la netta presa di posizione del suo «superiore», il ministro degli Esteri Giulio Terzi, che l’11 marzo scorso annunciò pubblicamente che, «stante la formale instaurazione di una controversia internazionale tra i due Stati», alla scadenza del permesso Latorre e Girone non avrebbero fatto rientro in India, perché «la giurisdizione è italiana», precisò Terzi cinguettando su Twitter. Da parte indiana si scatenò il finimondo, poi ecco l’improvviso dietrofront.
«Siamo felici», dichiararono a caldo i due fucilieri di Marina, l’11 marzo, credendosi in salvo. Invece, ieri sera, solo la telefonata affettuosa del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che ha avuto una breve conversazione con Latorre, è servita a rincuorare un poco i due marò affranti alla partenza. Napolitano ha apprezzato «il senso di responsabilità » dei due fucilieri assicurando loro «la massima vicinanza nel percorso che li attende» con «l’augurio di un sollecito, corretto riconoscimento delle loro ragioni». Latorre e Girone, indagati anche in Italia dalla procura militare per «omicidio colposo», «violata consegna aggravata» e «dispersione di oggetti di armamento militare», ora «risiederanno nell’ambasciata a New Delhi e avranno libertà  di movimento — ha aggiunto lo stesso Staffan De Mistura —. Se vogliono potranno anche andare al ristorante… Ma è superato il braccio di ferro con il governo indiano e si riparte a bocce ferme. La nostra posizione è chiara: vogliamo un arbitrato e una corte internazionale».
La decisione di far tornare in India i due marò è stata presa ieri al termine della riunione del Cisr (Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica) presieduta da Mario Monti, cui hanno preso parte i ministri Terzi, Cancellieri, Severino, Di Paola, Grilli, Passera e i sottosegretari Catricalà  e De Gennaro. Scelta controversa, con vistose frizioni registrate all’interno dello stesso Comitato. Il clamoroso cambio di programma ha scatenato critiche all’indirizzo del governo: «Una decisione grave, che ha il sapore di un tragico ritorno all’Italietta. Così si perde la credibilità  nazionale e internazionale», ha commentato il segretario del Pdl Angelino Alfano. «Decisione tormentata ma saggia», invece, secondo Lapo Pistelli, responsabile Esteri del Pd. Ma in serata il sindaco di Bari Michele Emiliano attacca frontalmente l’esecutivo: «Qualcuno in maniera inqualificabile ha detto che tutto era stato risolto dal governo, che così ha avuto momenti di visibilità  a cavallo delle elezioni».

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