Suntech, il tramonto del solare

by Sergio Segio | 22 Marzo 2013 9:41

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PECHINO. Bancarotta. Il capitalismo può avere tutte le caratteristiche del mondo ma quando indica la parola «fine» è uguale dappertutto. La Suntech, azienda leader mondiale nella produzione di pannelli fotovoltaici ha dichiarato bancarotta, ieri, via tribunale di Wuxi, Cina. Insolvenza incrociata, come piace dire agli esperti (cross default). Significa che Suntech non è stata in grado di pagare i 451 milioni di azioni che aveva ottenuto dei soci.
Essendo un finale, potenzialmente soggetto a cambiamenti, tutto potrebbe avere avuto inizio con un altro fallimento, quello dell’americana Solyndra. Azienda che Obama aveva finanziato e definito la Apple americana del fotovoltaico. Fallita nel 2011 per ragioni molto precise. Come scrissero nel comunicato d’addio i manager americani, la colpa era di un paese, la Cina. Pechino infatti foraggiava con i sussidi le aziende cinesi, capaci così di competere sui mercati internazionali con prezzi stracciati. Soldi, ma anche affitto a prezzi bassi di terreni, manodopera sottopagata.
Così l’anno scorso gli Stati Uniti sono passati al contrattacco, con una mossa poco consona al ruolo di avanguardia, o ex tale, del capitalismo. Con i dazi, anche al 251% sul fotovoltaico cinese. In parole povere, protezionismo. La Cina aveva avvertito: si tratta di un rimedio che alzerà  i prezzi del solare, provocandone una crisi e favorendo le lobby delle energie fossili. E infatti a cadere nella rete, un’azienda cinese tra le più importanti. Ma potrebbe non essere un colpo definitivo, visto che si parla già  di nazionalizzazione della Suntech e di riconversione per il mercato interno.
La storia dei sussidi
Un insider, professionista decennale nel mercato dell’energia cinese, al manifesto ha spiegato la genesi e le possibili conseguenze del tonfo del solare made in China. Ad iniziare dalla storia dei sussidi. Con il tempo infatti, per la Cina si era creata una situazione perfetta: «C’è una questione di fondo che risale agli accordi di Kyoto. Secondo il protocollo, nell’ambito delle riduzioni di Co2, non c’è un impegno circa i sussidi solo americano e cinese, ma anche europeo. In pratica si è creata una situazione di vantaggio sia per le aziende occidentali che potevano andare a produrre a basso costo in Cina, sia per i cinesi che hanno potuto usufruire di una spinta tale da renderli leader al mondo. Le aziende Usa sono rimaste con il cerino in mano».
Ed ecco che quelle che producevano in casa hanno chiesto i dazi. Come raggiungere gli obiettivi di riduzione? Anche attraverso il finanziamento di progetti “puliti” in paesi in via di sviluppo, come è considerata la Cina. «Si è reso possibile lo sviluppo di fonti rinnovabili a Pechino che hanno portato vantaggi economici soprattutto per chi investe in quel settore». Quindi investimenti esteri, sussidi statali e ora il fallimento.
C’è una spiegazione e si tratta di unire e avvicinare il destino del fotovoltaico a quello eolico: «Nel 2009 e 2010 la produzione di pannelli cinese non era stato in grado di fronteggiare la domanda europea. Nel 2011 la crisi e la riduzione degli incentivi alle rinnovabili in Europa ha portato la domanda a diminuire drasticamente. Essendo una tecnologia meno matura dell’eolica, i miglioramenti e le economie di scala hanno portato alla situazione che chi aveva prodotto in eccesso senza avere i contratti di vendita si è ritrovato con prodotti che dopo pochi mesi erano non piazzabili sul mercato e che sono rimasti sul groppone».
Già , perché la concorrenza cinese ha portato i pannelli solari a passare da un lusso – costosi e il cui rientro economico era previsto in quindici anni circa – a prezzi crollati. Si dirà  che è un fallimento della politica cinese, con l’aiuto dei dazi americani.
E Pechino che farà ? «Prevedo – racconta l’anonimo insider – che si ripeterà  per il solare quello che abbiamo visto per l’eolico, un’industria nata per la domanda esterna, divenuta talmente matura con bassi costi di produzione che può avere adesso una domanda interna. Il mercato cinese interno nel 2013 vedrà  una crescita clamorosa del settore, anche perché il governo ha deciso che sarà  una industria strategica e ne finanzia i piani di sviluppo regionali». E anche perché la classe media cinese vuole energie alternative al carbone, che da solo copre il 70 percento del fabbisogno energetico del paese.

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