Storie di tango e di fango Dai bassifondi al Vaticano

by Sergio Segio | 15 Marzo 2013 9:06

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Sarebbe certo poca cosa, rispetto ai temi e alle sfide che si profilano all’orizzonte del suo pontificato. Ma la storia delle relazioni tra tango e Chiesa è troppo controversa perché questa presunta passione di Bergoglio possa essere ignorata.
Leggenda vuole che circa un secolo fa, il tango – inteso qui non tanto come musica ma come danza – sia stato quasi scomunicato. È sicuro che le autorità  ecclesiastiche, in Sudamerica come in Europa, fossero parecchio turbate dal devastante potenziale di sensualità  che una coppia di ballerini di tango è in grado di sprigionare. Per la chiesa è un ballo troppo lascivo, fatto di provocazioni e allusioni, troppo giocato sull’istinto di seduzione e sulla ribalderia inconciliata dei corpi per essere accettato. Anche come forma-canzone, il tango mette in scena storie di bassifondi e malavita, violenza e sesso, utilizzando un linguaggio più che esplicito. Quando, a cavallo tra ‘800 e ‘900, il tango sbarca a Parigi – portale d’ingresso per tutte le nuove tendenze, dal basso e dall’alto, provenienti dal Sudamerica – la chiesa scatena una campagna di censura e criminalizzazione che inevitabilmente finirà  per accompagnare l’arrivo del nuovo ballo anche in Italia. Pressato da più parti per mettere all’indice uno spirito così «corrotto», Pio X dà  vita a un episodio divenuto celebre grazie a successive, assai romanzate e poco verificabili narrazioni. Sembra che il papa volesse verificare di persona quel che di tremendo circolava sul conto di questa danza, quindi ciede che venga organizzata in Vaticano una performance privata con due ballerini. Da buon veneto Pio X amava molto di più la furlana – che peraltro si danza in modo assai più composto – ma detto questo proprio non vedeva «cosa ci fosse di tanto peccaminoso in questo nuovo ballo». Si può ipotizzare che i due danzatori fossero stati in realtà  «catechizzati» da un maestro che aveva tutto l’interesse a smorzare il clamore sollevato dalla nuova moda. Sia come sia, Trilussa accenna alla scenetta nella poesia Tango e Furlana, in cui dice chiaramente che Er Papa nun vo’ er Tango perché, spesso / er cavajere spigne e se strufina / sopra la panza de la ballerina / che su per giù, se regola lo stesso…
Ma il papa che davvero non ne vuole sapere è il successore di Pio X, Benedetto XV, secondo il quale il tango non solo «è oltraggioso», ma è anche un «ballo indecente e pagano, un assassinio della famiglia e della vita sociale». Il suo ostracismo non sorpende più di tanto: nel 1914, mentre Pio X cercava di farsi un’idea sua in proposito, monsignor Della Chiesa, arcivescovo di Bologna e futuro papa Benedetto XV, proibisce il tango in quanto immorale e ordina 100 copie del libro Il tango e il suo fango, scritto dal direttore del giornale fiorentino L’unità  cattolica, padre Cavalcanti, che aveva scatenato una campagna di demonizzazione senza precedenti. nello stesso anno anche il kaiser Guglielmo II proibisce agli ufficiali del suo esercito di abbandonarsi alle «indecenze» del tango.
Eppure più che la morale cattolica, nei decenni successivi sarà  l’avvento del boogie woogie a mandare il tango all’inferno.
Ma quando c’è di mezzo il tango divino e demoniaco, pornografia e dimensione dionisiaca rischiano di confondersi. Luis Bacalov ha scritto addirittura una Misa Tango per coro e orchestra, solenne e inedita declinazione sacra che il compositore di origine argentina temeva potesse «suonare» blasfema. Non tanto per l’azzardo liturgico, quanto per il fatto che si trattava di un’opera scritta da un ebreo.
Eppure uno come B. Echeverry, senza neanche lontanamente immaginare quel che sarebbe successo un giorno a san Pietro, ha scritto che «al tango si giunge come nelle vocazioni mistiche, in una umile condizione di iniziati, con la sensazione di aver sentito la Voce del Destino, di aver incontrato un linguaggio che cercava il Cuore per ascoltare ciò che nessun’altra musica ci aveva potuto dire prima». Amen.

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