Spunta il piano B del governo istituzionale e il Cavaliere vuole rientrare in partita

by Sergio Segio | 13 Marzo 2013 10:44

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ROMA — C’è di nuovo l’ombra di un governo del Presidente a oscurare il pallido tentativo di Bersani di formare una maggioranza con i Cinquestelle. «Strada in salita», ha ammesso lo stesso segretario del Pd, preso a pesci in faccia ogni giorno da Beppe Grillo. Così rimbalza tra i palazzi romani una possibile via d’uscita, che sarebbe stata esaminata in recenti conversazioni anche al Colle. Se l’incarico esplorativo a Bersani dovesse sgretolarsi di fronte al muro di incomunicabilità  eretto dai grillini, il “piano B” potrebbe essere gestito dallo stesso Napolitano, inizialmente rassegnato a lasciare al suo successore il compito di individuare un nuovo presidente del Consiglio. L’incarico sarebbe invece essere affidato al presidente di uno dei due rami del Parlamento, possibilmente il Senato, per dar vita a un «governo istituzionale».
Già , ma con i voti di chi? Nel Pd — nonostante la sceneggiata sudamericana dei berlusconiani al palazzo di Giustizia di Milano — si sta facendo strada la consapevolezza che una qualche forma di collaborazione vada trovata con il Cavaliere. Senza intavolare trattative segrete, ma chiedendo il voto in Parlamento «a tutti, senza preclusioni». Nella convinzione che convenga anche al Pdl assicurare la partenza di un «governo istituzionale» uscendo dall’isolamento politico in cui si è avvitato il centrodestra.
A largo del Nazareno in molti stanno svolgendo questi ragionamenti. Anche per non lasciare che l’unica alternativa siano le elezioni anticipate, asfaltando in questo modo un’autostrada senza caselli per Matteo Renzi. È così che lettiani e franceschiniani si stanno silenziosamente rassegnando all’idea di un governo sostenuto, magari all’esterno, dal Pdl. Un governo che nasca con il voto di Pd e Scelta Civica, il “no” dei grillini e l’uscita dall’aula del Pdl. Guidato da Anna Finocchiaro, che sarebbe prima eletta presidente di palazzo Madama per poi traslocare a Palazzo Chigi.
Il segnale più esplicito è venuto lunedì da Francesco Boccia, vicino a Enrico Letta, che all’assemblea dei neoparlamentari di fatto ha impiombato il dialogo con i cinquestelle: «Noi che nella nostra storia abbiamo De Gasperi, Moro e Berlinguer, non possiamo inseguire nessuno, nemmeno Grillo e Casaleggio. Venendo qui qualche collega mi ha detto che ci possono essere convergenze con il M5S. E su cosa? Sul referendum sull’euro?».
A questa strategia l’atteggiamento di benevola comprensione tenuto ieri da Napolitano verso il Cavaliere offre senza dubbia una sponda politica. Il presidente della Repubblica ha definito «comprensibile» la preoccupazione del Pdl «di veder garantito che il suo leader possa partecipare adeguatamente alla complessa fase politico-istituzionale già  in pieno svolgimento, che si proietterà  fino alla seconda metà  del prossimo mese di aprile». È come se il capo dello Stato abbia voluto dare una mano al Pdl per rientrare in partita, aiutandolo a uscire dal vicolo cieco della protesta eversiva contro la magistratura. In cambio Berlusconi dovrebbe dimostrare di aver capito, rinunciando alla manifestazione contro i pm del 23 marzo. E i segnali che arrivano da via dell’Umiltà  vanno appunto in questo senso, visto che la protesta di piazza, su consiglio di Gianni Letta, potrebbe trasformarsi in un innocuo convegno sulla riforma della giustizia.
La partita del governo è legata strettamente, se non altro per problemi di calendario, con quella della presidenze delle Camere. La strategia del Pd di apertura a tutto campo comporta anche un tentativo di “parlamentarizzazione” del fenomeno M5S. A questo serviva l’incontro di ieri al Senato tra i tre sherpa del Pd e i (diciotto!) parlamentari grillini. «I Cinquestelle — racconta Luigi Zanda — hanno preso atto che il Pd non intende accaparrarsi tutte le cariche, ma procedere con un metodo più… proporzionale». In sostanza il Pd potrebbe cedere la presidenza di Montecitorio, quella ambita dai grillini (la giovanissima Marta Grande in pole position), contando sulla maggioranza bulgara comunque assicurata dal premio di maggioranza. Al Senato invece andrebbe un esponente Pd, pronto a essere chiamato da Napolitano per formare il «governo istituzionale». E il nome è, appunto, quello di Anna Finocchiaro. Incassata la fiducia, ci sarebbe una staffetta tra Senato e Palazzo Chigi e Mario Monti chiuderebbe il cerchio diventando il numero uno di palazzo Madama.
Il “Great game” delle presidenze comprende, ovviamente, anche la più importante, quella della Repubblica. Per evitare di ritrovarsi tagliato fuori da tutto, con Romano Prodi al Quirinale, il Cavaliere ha iniziato a far circolare l’idea di gettare tra i piedi dei democratici la candidatura di Amato o D’Alema per scompaginare i giochi. E la nota di ieri in cui rivendicava il diritto del centrodestra ad avere un proprio capo dello Stato, raccontano nel Pdl, va letta correttamente come un modo per alzare la posta e sedersi al tavolo delle decisioni. Insomma, Berlusconi sa che al quarto scrutinio una maggioranza ostile potrebbe mandare sul Colle Prodi, ma spera ancora di poter evitare il danno maggiore. In questa partita di certo sarebbe un grande aiuto per il Cavaliere partecipare da subito a un’intesa sul governo. Senza entrarci direttamente, ma facendo in modo che il Senato sia in numero legale il giorno del voto di fiducia al «governo istituzionale».

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