by Sergio Segio | 17 Marzo 2013 7:58
WASHINGTON — Mosse e contromosse sul fronte orientale. La Corea del Nord minaccia, gli Usa rispondono con misure dilatate nel tempo.
La catena di eventi si è aperta pochi giorni fa quando il dittatore nordcoreano Kim Jung-un si è fatto fotografare in un base d’artiglieria vicina all’arcipelago sudcoreano di Yeonpyeong. Un obiettivo a tiro di cannone, già colpito nel 2010. Una visita seguita, ieri, dall’avvertimento agli abitanti a lasciare l’isola per evitare guai. Parole che sembrano confermare i sospetti degli osservatori: Pyongyang potrebbe davvero lanciare un attacco dimostrativo per replicare alle sanzioni votate dall’Onu e alle esercitazioni congiunte Usa/Corea del Sud. Del resto il regime usa toni sempre più belligeranti, avverte sui rischi che una «scintilla» possa diventare «incendio» e prova, come è appena avvenuto, i suoi missili a corto raggio. Al netto della propaganda, nulla di buono.
Davanti alle mattane del leader nordcoreano, gli Usa hanno reagito con una decisione che ha fatto discutere. Il segretario alla Difesa Chuck Hagel, alle prese con la sua prima crisi, ha annunciato il rafforzamento dei sistemi antimissile sulla costa occidentale degli Stati Uniti. Provvedimento che porterà , entro il 2017, allo schieramento di altri intercettori in alcune basi, dall’Alaska fino al Sud del Paese. Da 30 passeranno a 44. Ma per farlo il Pentagono pescherà dall’arsenale destinato, inizialmente, a creare lo scudo antimissile in Europa. Si tratta di «una ristrutturazione», hanno spiegato i portavoce. Era infatti previsto che gli Usa completassero la cosidetta «fase quattro» con il dispiegamento in Polonia e in Romania degli apparati destinati a proteggere il continente dalla minaccia iraniana. Ora tutto slitterà . In base alla tabella di marcia è confermata l’installazione (entro il 2018) di un radar Tpy2 in Turchia e di 24 missili intercettori in Romania e Polonia. Non ci sarà invece lo schieramento (previsto per il 2022) di un nuovo tipo di ordigno che dovrebbe aumentare la capacità di fermare un vettore nemico.
A incidere su scelte e priorità di Washington ci sono considerazioni economiche e diplomatiche. La «coperta» degli apparati è corta ma a questo si aggiunge il guaio del budget. Per finanziare il rafforzamento della difesa in chiave anti Nord Corea il Pentagono dovrà sborsare un miliardo di dollari. Dunque se spendi da una parte, sei costretto a togliere dall’altra. Chuck Hagel è stato scelto da Barack Obama anche per gestire tagli a un bilancio comunque sempre importante.
L’altro aspetto, invece, investe i rapporti con Mosca. La Russia ha più volte attaccato la creazione dello scudo missilistico in Europa sostenendo che diminuisce la sua capacità di deterrenza. A suo giudizio la storia dell’Iran è solo un pretesto. Il Cremlino ha anche minacciato un blocco dei negoziati sul disarmo e lo schieramento dei missili nucleari tattici Iskander nell’enclave di Kaliningrad, tra Lituania e Polonia. Ora con lo stop alla quarta fase Washington può lanciare un messaggio al Cremlino. Infatti, alcuni analisti sostengono che potrebbe esserci presto un nuovo round di colloqui tra Russia e Stati Uniti. Colloqui che vanno nella direzione indicata di recente dal presidente Obama sulla possibilità di trattare una nuova riduzione dell’arsenale nucleare.
Le manovre della Casa Bianca inevitabilmente hanno provocato le critiche dei repubblicani. A loro giudizio Obama fa un favore ai russi, costerà altro denaro ai contribuenti e scontenterà gli alleati europei. Riserve anche da parte di qualche esperto che ritiene non proprio affidabile il sistema antimissile. E poi aggiungono: i nordcoreani non hanno ancora i mezzi per colpire la costa occidentale degli Stati Uniti. Però è vero che ci stanno lavorando. E con grande impegno.
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