Soluzione eccentrica scenario possibile

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Ma anche un po’ paradossale: dopo un giro estenuante di consultazioni, ne usciamo battezzando un organismo consultivo. Dove per giunta le parti si rovesciano, come in una pièce pirandelliana.
Perché i partiti da consultati si trasformeranno in consultanti, e perché il loro consulente avrà  casa al Quirinale, sotto lo stesso tetto del Grande Consultatore.
Eppure il pasticcio ci difende da un bisticcio, quello ingaggiato da tre minoranze armate. Che alternative c’erano? Primo: le dimissioni di Napolitano. Avrebbero accorciato i tempi per eleggere il suo successore, ma intanto avremmo perso l’unico timone istituzionale che ci resta, consegnando all’esterno l’immagine di un Paese spaesato. Secondo: un governo tecnico. Peccato che un governo così reclami il sostegno del capo dello Stato, specie quando muove i primi passi; e Napolitano è ai suoi ultimi passi. Peccato che i partiti, chi più chi meno, avessero già  fatto sapere di non volerne sapere. Peccato infine che tale soluzione, dopo il suo ineluttabile naufragio, ci avrebbe fatto galleggiare in mare aperto. Senza carte di riserva sul governo, senza un presidente di riserva fino a maggio inoltrato.
Ecco allora a cosa serve l’espediente: a prolungare la fase di decantazione, sperando che i saggi inducano i partiti alla saggezza. D’altronde il presidente è come un’ostetrica: può far nascere i governi, ma solo se c’è una gravidanza. Invece fin qui la politica è stata capace unicamente di gravidanze isteriche. Tuttavia il campo resta libero, giacché Napolitano non ha mai conferito un incarico pieno. Al Quirinale rimane in sella un presidente, anziché un supplente. E a palazzo Chigi c’è pur sempre un governo, che le Camere non hanno mai sfiduciato.
Sicché prendiamolo sul serio, Napolitano. Ma anche Monti. E chiediamo a quest’ultimo d’aprire un paracadute, mentre la crisi ci spinge giù nel precipizio. Sappiamo che presto o tardi si tornerà  a votare. Sappiamo altresì che a rivotare con la legge vigente rischiamo un altro stallo. Però una soluzione c’è: abrogare il Porcellum per decreto. Rimettendo in circolo la vecchia legge elettorale, perché l’esecutivo non può sovrapporre la sua scelta alla non scelta dei partiti, può solo riesumare la loro scelta precedente. Dunque il Mattarellum, ossia il sistema che nel 2011 raccolse un milione e 200 mila firme per un referendum mai votato.
È la soluzione che avevamo proposto l’anno scorso, per reagire a una situazione disperante. Monti la giudicò fattibile, ma i partiti risposero all’unisono: «Ghe pensi mì». S’è visto. E allora lasciamoli pensare, e domandiamo al governo d’agire.


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