by Sergio Segio | 1 Marzo 2013 16:03
Esecutivo tutto a 5 stelle, oppure il bis di Monti. L’ex comico deve sfuggire a Bersani. Ma anche al voto immediato E se al governo restasse Mario Monti? L’idea è di un blogger, ma siccome è a lui che Beppe Grillo si affida per continuare a respingere l’offerta di Bersani, viene presa sul serio. Non che sia facile, perché lo stesso blogger, Claudio Messora, sempre dal sito di Grillo, lancia anche una seconda proposta, tutta diversa: si affidi direttamente al Movimento 5 Stelle, e non al Pd, il compito di formare un governo di minoranza. Dovrebbe essere Bersani a dare la prima fiducia a un esponente grillino (ma chi?) e non viceversa. Il segretario Pd fatica a distinguere le intenzioni dalle provocazioni, e replica tutto serio, direttamente a Grillo. «Rispetti gli elettori, i numeri li vede anche lui. Non pensi di scappare dalle sue responsabilità con le battute». E conclude con l’invito tormentone del Movimento 5 Stelle, solo un po’ corretto: «Ci si vede in parlamento. E davanti agli italiani». Sarà un piacere?
In attesa di stabilire un contatto diretto con il vincitore delle elezioni, il gruppo dirigente del partito democratico è costretto a interpretare i presagi del blog. Le uscite di Grillo non sono però così oscure: è evidente il tentativo di portare il Movimento 5 Stelle fuori dall’alternativa tra la collaborazione con il Pd e ritorno immediato alle urne. Per Grillo l’ipotesi migliore sarebbe un’altra, una terza: governo del presidente sostenuto da una maggioranza Pd-Monti-Pdl. Lo si chiami o meno governissimo. All’opposizione il M5S potrebbe votare questa o quella legge, dimostrando così il suo spirito costruttivo, ma manterrebbe intatta la libertà di critica al blocco dei partiti. Una rendita di posizione buona per le prossime amministrative e magari per le elezioni politiche anticipate sì, ma non prima di un anno (nel 2014 c’è comunque la scadenza delle europee).
Se Bersani non fosse il grande sconfitto delle elezioni e conservasse un po’ di forza propositiva potrebbe incalzare di più i grillini, magari riconoscendoli come veri vincitori e proponendo un governo a tempo che si limiti a fare le cose che sono nei programmi sia dei 5 stelle che della coalizione Pd-Sel. Percorso stretto, certo, che proprio per questo andrebbe affrontato con convinzione. Ma così non è, prova ne sia il ritorno in campo di Massimo D’Alema con la proposta di un accordo globale, da Berlusconi a Grillo, che passi attraverso l’assegnazione al Pdl e al Movimento 5 Stelle delle presidenze di senato e camera. Fantascienza per i grillini, ma certo uno scenario utile a legittimare un governo del presidente con chi ci sta – chi si sente «responsabile» – e a preparare il terreno per l’elezione condivisa del nuovo capo dello stato. A quel punto D’Alema avrebbe le sue buone credenziali.
Reduce da un colpo durissimo, con alle spalle un partito che già guarda oltre la sua leadership, Bersani non ha la forza di andare a vedere se Grillo sta bluffando. Perché non è affatto detto che l’ex comico possa permettersi di far precipitare immediatamente la legislatura, senza pagare un qualche dazio nella tenuta del gruppo parlamentare, o nelle urne. Se il M5S si dimostrasse incapace di portare a compimento le sue battaglie a fronte della disponibilità del Pd, non è affatto detto che gli elettori torneranno a premiare Grillo. Che infatti è assai preoccupato dal seguito sul web della petizione in favore della fiducia a Bersani. Lo staff di Casaleggio ha subito lanciato una contro petizione, che però raccoglie assai meno firme. E ancora il blogger Messora ha rilanciato la scoperta del giornalista Gianluca Nuzzi, secondo il quale la campagna pro Pd è stata architettata dai nemici giurati del 5 Stelle.
Quanto però il successo del Movimento 5 Stelle dipenda dalla credibilità di Grillo lo dimostrano i risultati delle elezioni regionali, che cominciano a essere discussi criticamente anche dai grillini. Sia nel Lazio che nella Lombardia il Movimento ha sofferto rispetto alle politiche. «Politicamente è una mezza sconfitta», si legge nel forum degli attivisti romani. Dove si fa notare che solo la metà degli elettori delle politiche nel Lazio ha replicato il voto alla Regione (stesso giorno, stesso seggio), mentre «solo due terzi degli elettori 5 stelle laziali hanno optato per Barillari come presidente». Proprio mentre il Pd è terrorizzato dall’impatto grillino sulle prossime comunali a Roma, i grillini ridimensionano le loro aspettative notando come quando si tratta di scegliere tra candidati locali, l’elettorato sfugga. E così i candidati regionali del Lazio sono stati eletti con pochissimi voti di preferenza, a Roma solo 1.500 (almeno 9mila per gli eletti del Pd). A Milano addirittura 248 preferenze sono bastate per eleggere un consigliere, su 73mila voti al 5 Stelle (lo 0,3%). Numeri da grande partito di opinione. Ma l’opinione è ancora solo quella di Grillo.
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