Slovenia in bancarotta. Ma non da poco

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Dopo Nicosia – ci si chiede – sarà  la volta di Ljubljana?
La narrazione di questi giorni fa sembrare la crisi slovena come una cose dell’ultima ora. Non è così. Sono mesi che nei corridoi della finanza e in quelli bruxellesi si guarda con preoccupazione all’ex repubblica jugoslava, tra l’altro reduce da una crisi di governo. Da poche settimane a presiedere l’esecutivo, di centrosinistra, c’è Alenka Bratusek. Ha preso il posto del conservatore Janez Jansa, travolto dalla crisi. Jansa è uno dei politici da più tempo sulla piazza. Era ministro della difesa al tempo della guerra lampo (durò dieci giorni) d’indipendenza del ’91 e il suo gabinetto, insediatosi poco più di un anno fa, era ritenuto affidabile da Angela Merkel.
Perché allora – è doveroso chiederselo – è caduto rovinosamente? Qui la trama si fa complessa. Bisogna necessariamente fare qualche passo indietro.
Quando l’arco conservatore vince le politiche (si tennero a dicembre di quell’anno) e Jansa si riprende il premierato, dopo la precedente esperienza del 2004-2008, la Slovenia è già  conciata male, anche se a occhio nudo i suoi mali non si vedono. Il quadro macroeconomico è buono, i conti pubblici risultano in ordine e la forbice tra ricchi e poveri è la più stretta d’Europa. Ma il problema sono le banche – le principali sono in mano allo stato – e il mattone. Gli istituto di credito erogano prestiti con leggerezza, i costi delle case schizzano su (siamo più o meno sui livelli di una grande città  italiana), troppo su. È così che molti prestiti divengono inesigibili e il settore bancario barcolla. A questo va aggiunto l’elevato indebitamento delle aziende.
Queste criticità , che avevano determinato il tonfo del Pil nel 2008-2009, riemergono possentemente proprio mentre Jansa inaugura il suo gabinetto. Il primo ministro, in linea con le ricetta europee, vara una politica di austerità  segnata da tagli, dall’ipotesi di inserire in costituzione il pareggio di bilancio e da due provvedimenti drastici: la creazione di una bad bank e la nascita di una holding con il compito di privatizzare una parte del patrimonio pubblico. Su queste due misure i sindacati promuovono il referendum, ma la corte costituzionale li stoppa. Jansa incassa il successo e tira dritto per la sua strada.
Nel frattempo, però, insorge la popolazione. Tutto nasce da una protesta a Maribor, seconda città  del paese, contro il sindaco e le sue ordinanze sull’installazione di autovelox. La campagna, scattata a novembre, assume presto una coloritura nazionale. Ci si scatena contro Jansa, che viene inoltre sospettato di corruzione da una speciale commissione nazionale. Il governo si sbriciola. Insieme a Jansa viene inchiodato dalla commissione anche il principale rivale di Jansa, Zoran Jankovic, capo del partito Slovenia Positiva. La cosa esclude Jankovic dalla corsa alla carica di primo ministro. Si ripiega su Alenka Bratusek. La titolare dell’esecutivo, comunque, ha margini di manovra limitatissimi. Tanto che bad bank e holding sono due punti del suo programma. Mentre il pareggio di bilancio resta a quanto pare un’opzione.
Intanto a Ljubljana qualcuno fa notare lo strano comportamento tenuto da Jansa in questa congiuntura travagliata. Ha dato come l’impressione di volersi defilare senza combattere. Forse ha sentito le sirene della troika, decidendo di agire così per non passare come il maggiore responsabile del disastro? Non è da escludere.


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