Siria, i ribelli catturano 20 caschi blu

by Sergio Segio | 7 Marzo 2013 11:19

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GERUSALEMME — Il Posto di osservazione 58 è piazzato verso il triplo crocevia tra i confini siriano, israeliano, giordano. È una zona smilitarizzata che si è ritrovata in mezzo alla guerra: la mini base delle Nazioni Unite è stata evacuata settimana scorsa per i colpi d’artiglieria che cadevano troppo vicini e i combattimenti nel villaggio di Jamla. Ieri i Caschi Blu sono tornati per trasferire il materiale, un convoglio con venti militari su mezzi corazzati bianchi. Sono stati fermati e circondati da una brigata di ribelli siriani, i Martiri dello Yarmuk, come il fiume che scorre in questa zona delle alture del Golan.
Adesso i miliziani chiedono — attraverso due video pubblicati su Youtube — che le truppe di Bashar Assad tolgano l’assedio a Jamla, accusano i peacekeepers di aver aiutato i soldati regolari («perché sono dei collaborazionisti di Israele, come tutti i Paesi europei, l’America e il regime di Damasco»), danno un ultimatum di ventiquattr’ore «altrimenti verranno trattati come prigionieri di guerra».
I Caschi Blu rapiti dovrebbero essere di origine filippina, in questo momento la missione dell’UNDOF (la forza delle Nazioni Unite incaricata di monitorare la linea di cessate il fuoco sul Golan) è comandata da un indiano ed è composta da 1.100 persone, tra loro anche austriaci, croati, giapponesi. I negoziati per liberarli sono già  iniziati, mentre Human Rights Watch avverte che i Martiri di Yarmuk potrebbero essere responsabili per l’uccisione a sangue freddo nelle scorse settimane di militari siriani.
Israele — che ha catturato le alture alla Siria nella guerra del 1967 — teme di venire coinvolta negli scontri dall’altra parte del confine. Il telegiornale del Canale 10 ha mostrato vari video (attribuiti a gruppi legati ad Al Qaeda) dove i ribelli studiano da pochi metri di distanza le torrette israeliane lungo la frontiera, sullo sfondo si vede passare una jeep. Per ora l’intelligence dell’esercito resta convinta che i rivoltosi siano troppo impegnati a combattere gli uomini di Assad per progettare attacchi contro Tsahal.
La Siria e Israele sono ancora formalmente in stato di guerra, la linea di cessate il fuoco è stata però la più tranquilla degli ultimi quarant’anni. Adesso i comandanti temono che l’Onu abbandoni la zona smilitarizzata e la fascia finisca sotto il controllo degli estremisti.
La rivolta contro Assad va avanti da quasi due anni, i morti sono 70 mila. Le Nazioni Unite avvertono «il Paese è entrato in una spirale che porta alla catastrofe totale» e calcolano che i rifugiati verso il Libano, la Giordania, la Turchia e l’Iraq proprio ieri, secondo i registri Onu, sono diventati un milione, la metà  di loro bambini. «Migliaia di persone attraversano le frontiere ogni giorno, 400 mila solo dall’inizio dell’anno», dice Antonio Guterres, Alto Commissario dell’Onu.
Il regime sembra convinto di poter ancora vincere, ieri l’aviazione ha bombardato Raqa, il primo capoluogo di provincia finito in gran parte sotto il controllo dei ribelli. La Lega Araba ha invitato i capi dell’opposizione a occupare il seggio della Siria al prossimo vertice di Doha (26-27 marzo) e ha dato il via libera agli Stati membri che vogliano rifornire di armi i rivoltosi. Nazioni come il Qatar e i ricchi finanziatori sauditi non hanno aspettato la benedizione ufficiale e stanno già  sostenendo i miliziani.
Davide Frattini

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