Se la Cina sogna una Corea unita

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Gli analisti occidentali si aspettano azioni bellicose, oltre alle parole: il lancio di un missile o un nuovo test nucleare come quello del 12 febbraio che ha spinto il Consiglio di sicurezza a votare compatto. Ma 7 anni di sanzioni non hanno indotto alla ragionevolezza il regime, arrivato con il giovane Kim Jong-Un alla terza generazione di dittatori. «Mangerebbero erba per cent’anni se in cambio potessero avere un’arma nucleare», scrive l’International Crisis Group. I leader del Nord possono ancora permettersi il caviale, visto che la Cina, pur avendo votato le sanzioni, finora le ha ignorate. Perché a Pechino hanno sempre considerato la Corea del Nord il fossato per tenere lontani dal confine cinese gli americani, attestati a Sud del 38° parallelo. C’è un proverbio cinese: «Se le labbra si separano, i denti hanno freddo». Le labbra sono Pechino e Pyongyang e i denti la frontiera. Questa è da sempre la polizza di assicurazione del Regno eremita, fin dal 1950 quando Kim Il-Sung (nonno del Kim attuale) scatenò la guerra. Ma a Pechino è in corso una riflessione radicale: l’alleato nordcoreano, divenuto incontrollabile, è visto come «un cane da guardia pazzo sulla porta di casa». E la fine del regime veterostalinista dei Kim non fa più così paura. Sul Financial Times, qualche giorno fa, è comparso un commento dal titolo: «La Cina dovrebbe abbandonare Pyongyang». Firmato da Deng Yuwen, stratega della Scuola centrale del partito comunista cinese. Il ragionamento: il crollo del regime del Nord porterebbe alla riunificazione con il Sud; questa «annessione» terrebbe occupata Seul per anni. E alla fine del processo, pensano a Pechino, i coreani si libererebbero degli americani. Conclusione: niente armi nucleari ai confini e niente più soldati Usa. Ma mentre gli strateghi studiano, chiedendo «calma e moderazione», il rischio di questo Grande Gioco è che si arrivi a un incidente militare dalle conseguenze incalcolabili.


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