Renzi: sono pronto a fare il premier

by Sergio Segio | 1 Marzo 2013 6:25

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ROMA — Il futuro Gianni Letta di Pier Luigi Bersani, ossia Vasco Errani, ha aiutato il segretario del Pd a fare i calcoli. Alla fine i due si sono guardati negli occhi e si sono detti. «È fatta».
Il segretario del Pd e il suo braccio destro sono convinti: al Senato, oltre ai parlamentari che fanno riferimento a Mario Monti, c’è un gruppo di grillini pronti a sostenere il governo presieduto dal leader del Partito democratico. Li hanno contattati, ci hanno parlato a lungo, il lavoro di «scouting» è andato in porto e ora possono tirare un sospirone di sollievo. A questo punto, dicono inorgogliti i bersaniani, il governo guidato dal segretario del Pd è praticamente fatto. Ma in quello stesso partito c’è chi non ci crede, chi fiuta la trappola, chi, come Massimo D’Alema, ritiene che le trattative con il Movimento 5 stelle possano condannare a morte il centrosinistra.
Dalla sua Firenze Matteo Renzi guarda ai movimenti del suo partito con un mix di disincanto e preoccupazione. Il sindaco rottamatore vorrebbe un Pd con maggiore «verve» però si è ripromesso di non ostacolare il manovratore Bersani e si attiene a quel che ha detto in tempi non sospetti. Il che, ovviamente, non gli preclude il campo della politica. Ci è nato e cresciuto in quel territorio, del resto. Ai collaboratori, agli amici, a qualche «suo» parlamentare ha spiegato che cosa intende fare: «Vedo che alcuni giornalisti scrivono che io potrei fare il premier, che potrei fare il segretario. Tutte illazioni. E cavolate. La realtà  dei fatti è questa: io non mi farò mai cooptare dal partito. Manco morto! Nessuno dei vertici potrà  mai dire: “Il nostro prossimo candidato premier sarà  Renzi”. Perché a quel punto io dico: no, grazie. Altra cosa è se il Partito democratico va alle consultazioni da Giorgio Napolitano con una rosa dei nomi. Cioè, senza dire che la richiesta è quella di Bersani secca. Se per riuscire a superare lo stallo che si è creato e che, certamente, non fa bene al Paese, il Pd si presentasse con più nomi di possibili candidati alla presidenza del Consiglio e se fra quei nomi ci fosse anche il mio, allora io ci penserei seriamente». A fare che? Non il candidato premier di una coalizione di centrosinistra alle prossime elezioni, ma il possibile presidente del Consiglio di una grande coalizione, che comprenda Grillo e anche Berlusconi, e che riesca finalmente ad avviare «le tante riforme da fare». «In quel caso potrei accettare di prendere in mano la situazione. So bene che ci potrei rimettere le penne, che mi converrebbe lasciar perdere, ma è una sfida che mi avvince».
E Renzi non ritiene di tradire la fiducia di Bersani quando spiega queste cose ai fedelissimi: «Io sono stato leale fino all’ultimo». La correttezza non gli vieta di spiegare qual è la sua versione dei fatti, nè di illustrare la sua analisi su quello che è successo. Tradotto dal politichese all’italiano: Renzi è pronto a dire perché il centrosinistra che si riteneva vincitore abbia mancato l’occasione della vita: «Quando dicevo che avremmo dovuto dimezzare i parlamentari e azzerare il finanziamento pubblico, tutti mi trattavano come un demagogo da strapazzo, anche nel partito, senza capire che quello era il modo per sgonfiare Grillo». I vertici del Pd non hanno seguito i suggerimenti del sindaco di Firenze, sconfitto dalle primarie, e hanno preferito andare dietro al vincitore di quella tenzone: «Hanno optato per il partito identitario. E il partito identitario più di quei voti non riesce a prendere». Già , di quei voti che sono tre milioni e mezzo in meno di quelli che prese Walter Veltroni. L’ex segretario lo ricorda: «Forse ora capiranno come fosse importante quel 34 per cento».
Se Veltroni sente ancora su di sé le ferite inflittegli da un partito non esattamente solidale, Renzi, memore di quell’esperienza, si tiene alla larga dai giochi e i giochetti del Pd: «Arrivano per le riunioni del partito con le loro belle auto blu e litigano. Io preferisco rimanere a Firenze e andare in giro in bicicletta. Non voglio essere coinvolto in queste storie». Rifugge dagli alterchi e dalle polemiche, il sindaco di Firenze, ma quando parla con il suo gruppo di futuri parlamentari (una cinquantina, circa) spiega. «La verità  è che noi abbiamo perso queste elezioni il giorno in cui abbiamo respinto la gente dai seggi delle primarie, quando abbiamo deciso che dovessero votare solo i militanti. Con che faccia, poi, potevamo chiedere a tutta questa gente che abbiamo cacciato di andare a votare alle politiche per noi?».

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