Recessione e voto, Fitch declassa l’Italia

by Sergio Segio | 9 Marzo 2013 8:16

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ROMA — La decisione è arrivata a mercati europei chiusi e quindi il downgrade dell’Italia da parte di Fitch, la più piccola delle agenzie di rating internazionali, non ha fatto danni e, visto che c’è la pausa del fine settimana, è probabile e auspicabile che non ne faccia neanche dopo. Sempre che la situazione di incertezza politica seguita ad elezioni «inconcludenti», denunciata da Ficth per spiegare la retrocessione di uno scalino da A- a BBB+ del rating sul debito sovrano dell’Italia, non condizioni più di tanto gli investitori finora rimasti sostanzialmente attendisti. Così come testimoniano il progresso dell’1,61% della Borsa di Milano e la frenata dello spread a 307, dopo essere sceso sotto quota 300, realizzati ieri. C’è da vedere se il ritorno di fiducia sull’euro, unito al «timone automatico» messo dall’Italia nel riequilibrio dei conti pubblici, evocati giovedì dal presidente della Bce, Mario Draghi riusciranno a vanificare i segnali negativi e contrari lanciati da Fitch e per ora messi in attesa da Moody’s e nel congelatore da Standard & Poor’s, che ha definito ininfluente sul rating l’esito delle elezioni (ma entrambe hanno già  retrocesso l’Italia dalla A alla B). Lunedì e martedì il Tesoro tornerà  sul mercato con le aste di Bot e di titoli a medio e lungo termine e la risposta non si farà  attendere. L’incertezza politica seguita alle elezioni «è parte integrante di un normale processo democratico. Confermiamo quindi la fiducia nel fatto che l’Italia troverà  la soluzione politica e proseguirà  il processo di riforma in corso» ha comunque ribattuto ieri in serata il ministero dell’Economia, sottolineando i «sostanziali progressi» fatti in direzione della stabilità  fiscale e la prevedibile «ulteriore riduzione del deficit nel 2013».
Intanto però la recessione continua a mordere come dimostra il peggioramento dei dati di gennaio sul credito, diffusi ieri da Bankitalia. A spiccare è il calo dei prestiti sia alle imprese — scesi del 2,8% annuo rispetto al -2,2% di dicembre — sia alle famiglie, diminuiti dello 0,6% sui dodici mesi, un decimo in più di dicembre. Ma anche l’aumento delle sofferenze, cioè dei prestiti non rimborsati, del 17,5% annuo dal 16,6% nel mese precedente. È continuata invece la crescita dei depositi che ha raggiunto in gennaio il 7,7% dal 7% di dicembre a cui si contrappone però la contrazione del tasso di espansione della raccolta obbligazionaria, quella a più a lungo termine che serve per esempio a coprire i mutui, sceso in gennaio al 2,2% dal 4,8% del mese precedente. «L’Italia è ancora una volta in piena emergenza credito. Rischia di partire la terza ondata di credit-crunch, dopo quelle del 2007-2009 e quella del 2011-2012», avverte il Centro studi Confindustria.
Della necessità  di rafforzare il sistema di accantonamenti per far fronte a sofferenze e perdite è invece tornato ieri a parlare il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, il quale, parlando all’Accademia dei Lincei, ha sottolineato anche l’esigenza di contenere stipendi, bonus e buonuscite dei manager, legandoli ai risultati raggiunti. Segnalando i guasti della grave crisi Visco ha poi sollecitato di contro a non trascurare i vantaggi della «buona finanza» ed ha insistito sul «ruolo cruciale» delle banche centrali. A questo proposito, citando l’economista Curzio Giannini, ha fatto trapelare il suo disinteresse per ogni coinvolgimento in formule di governo tecnico. «La legittimazione delle banche centrali…. viene dalla competenza, dalla moderazione, dall’orientamento al medio-lungo periodo, dal rifiuto di assumere compiti esulanti dai propri ruoli primari».

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