Quirinale, quei nove voti che mancano al Pd

by Sergio Segio | 26 Marzo 2013 7:49

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ROMA — La mattina del 10 maggio del 2006, dopo tre fumate nere, Giorgio Napolitano ottenne 543 voti e dunque, avendo superato abbondantemente la maggioranza richiesta dal terzo scrutinio in poi — la metà  più uno dei componenti del Parlamento in seduta comune — risultò eletto alla carica di presidente della Repubblica, con il centrodestra che scelse di votare scheda bianca. Questa volta però, in mancanza di un accordo con Silvio Berlusconi, al centrosinistra mancherebbero nove voti per eleggere un suo candidato. Ovviamente, se ai 495 grandi elettori di Pd e Sel si unissero i 71 centristi di Monti e Casini, scatterebbe agevolmente la maggioranza della metà  più uno richiesta dopo il terzo scrutinio (495+71=566). Invece, un’eventuale alleanza tra centrodestra e Monti (268+71=339) non sarebbe risolutiva.
Sette anni dopo, con un quadro politico ancor più frammentato, gli strateghi della corsa per il Colle tornano a disegnare gli scenari possibili. Come stabilisce la Costituzione, ai primi tre scrutini è richiesta la maggioranza dei due terzi che in questa tornata presidenziale corrisponde a 671 voti mentre, a partire dalla quarta votazione, il quorum scende alla metà  più uno: in mancanza di un accordo tra i partiti, 504 è, appunto, il numero magico per eleggere la più alta carica dello Stato. Il plenum, infatti, è composto da 1007 grandi elettori: 630 deputati, 315 senatori, 4 senatori a vita, 58 delegati regionali (tre per Regione, tranne la Valle d’Aosta che ne elegge uno solo).
Le forze in campo in Parlamento, dunque, vanno «tarate» con il peso che avranno gli eletti nelle venti Regioni: «Secondo una prassi consolidata — spiega Eros Brega, presidente dell’assemblea regionale umbra che coordina la Conferenza dei parlamenti regionali — vengono eletti il presidente del Consiglio regionale, il governatore in carica e un vicepresidente di solito espressione dell’opposizione». Così ogni Regione invia a Roma tre grandi elettori: su base locale, due della maggioranza e uno di opposizione. Il Friuli Venezia Giulia — dove si vota il 21 aprile — è l’unica Regione che ha già  eletto i suoi grandi elettori: sono il presidente Maurizio Franz (Lega), il vicepresidente Luca Ciriani (Pdl) indicato dal governatore Renzo Tondo e il consigliere Franco Brussa (Pd).
Tutte le altre assemblee, aggiunge il direttore generale della Conferenza dei parlamenti regionali Paolo Pietrangelo, «hanno concordato di eleggere i propri delegati entro il 15 aprile», giorno in cui il presidente della Camera Laura Boldrini farà  conoscere la data in cui il Parlamento è convocato in seduta comune. Così già  ora si possono pesare le quote dei grandi elettori regionali: al Pd spetterebbero 24 delegati mentre a Sel ne andrebbero 3: 27 in tutto, compresi quelli della Svp che, sommati ai 468 parlamentari in carica, portano il centrosinistra a quota 495. Si parte, dunque, da questa base per tentare di raggiungere il quorum di 504, oltre il quale dal quarto scrutino si elegge il presidente della Repubblica. Mancano nove voti, appunto, e c’è chi già  pensa almeno a tre senatori a vita (oltre ad Emilio Colombo ci sono anche Giulio Andreotti e Carlo Azeglio Ciampi che però, da molti mesi, non sono presenti in Aula), agli ex Pd e agli ex Fli eletti nel partito di Mario Monti (anche lui senatore a vita), alla decina di senatori grillini che grazie anche alle indicazioni di Salvatore Borsellino hanno votato per Pietro Grasso (Pd), ai 3 delegati regionali dell’Udc (due dei quali, a partire dal siciliano Giovanni Ardizzone, sono alleati del Pd al livello locale). A Pier Luigi Bersani, allora, non mancherebbero le combinazioni possibili per superare «quota 504». Invece le altre alleanze sfruttando i voti regionali sembrano impossibili anche perché il Pdl otterrebbe 21 delegati mentre 4 andrebbero alla Lega, 3 all’Udc, 2 al M5S, 1 all’Union Valdà´taine che ha un accordo con il centrodestra. Fatte le addizioni, i grandi elettori del centrodestra, aggiunti i 71 di Monti saranno 339. E sommando, con uno sforzo di fantasia, i 164 grillini si arriverebbe a 503. Vicinissimi all’obiettivo, ma questa è fantapolitica.
Dino Martirano

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