Quella spaccatura tra gli italiani

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CITTà€ DEL VATICANO — Una volta si accampavano tra brande e tramezzi nel Palazzo Apostolico e la faccenda, considerata l’età  media, era garantita, «il Conclave non durerà  più di tre giorni, dopo il terzo non se ne può più di vivere in queste condizioni: magari si prende una sedia e la si fa Papa, pur di uscire», considerava il cardinale Giuseppe Siri, veterano di quattro votazioni che un paio di volte entrò Pontefice nella Sistina per uscirne cardinale e a ragion veduta spiegava: «I Papi si fanno in conclave».
Ora gli elettori alloggiano più comodi, come nel 2005 nelle sobrie ma confortevoli stanze del Santa Marta, e la faccenda del tempo non è poi così scontata: anzi, diventa sempre più un elemento essenziale nell’elezione del Pontefice. La stessa scelta della data di inizio, martedì, è indicativa di come potrebbero andare le cose davanti al Giudizio universale di Michelangelo: una sorta di compromesso tra i «curiali» e gli italiani che avevano fretta di cominciare già  domenica o lunedì e i cardinali «stranieri» che puntavano a guadagnare qualche giorno e infine ne hanno spuntato uno. Sembra poco, ma non lo è, tra i porporati si ripete da tempo che in ventiquattr’ore sono sorti o tramontati molti Papi.
I cardinali hanno ancora tre giorni pieni di tempo per confrontarsi, oggi e magari lunedì nelle congregazioni generali ma soprattutto durante gli incontri informali. Oltretevere si parla di un pranzo tra due «papabili» come Angelo Scola e Christoph Schà¶nborn e non sono dettagli di colore visto che l’italiano, nemo propheta in patria, trova consensi (crescenti) all’estero più che tra i connazionali. Del resto la situazione si sta definendo, almeno quella di partenza. Anche se tutto è molto più fluido e complesso di quanto non fosse nei due conclavi precedenti, nel ’78 e nel 2005. Dopo la «rinuncia» al pontificato di Benedetto XVI sono emersi due fattori nuovi. Anzitutto, è saltata la già  logora distinzione tra «conservatori» e «progressisti»: il confronto si gioca piuttosto tra i «ratzingeriani» che proseguirebbero la linea del Papa emerito e chi, specie nella vecchia Curia, non l’ha mai digerita, la tensione che ha fatto da terreno di coltura allo scandalo Vatileaks. L’altro elemento nuovo è il ruolo centrale dei cardinali Usa: il gruppo degli undici è assai coeso e ha «papabili» seri (Wuerl, Dolan, O’Malley), se anche non fosse la volta buona per il primo Pontefice americano è ormai difficile pensare che il Papa possa essere eletto senza o addirittura contro di loro.
La tensione sulla data del conclave — e anche sui briefing pubblici degli americani — si spiega con il timore degli americani e di altri «stranieri» che i «romani» avessero già  pronto il «loro» candidato e quindi la necessità  di far maturare un’alternativa. Fin dall’inizio, anche per le polemiche e i veleni tutti «italiani», l’aria è stata di guardare «oltre Oceano», al continente americano. In Curia sono pronti a sostenere il brasiliano Odilo Pedro Scherer, 63 anni, l’arcivescovo di San Paolo considerato il più «papabile» dell’America Latina, sempre più centrale. Per un legge non scritta, se il Papa è «straniero» il Segretario di Stato è italiano. E due «ex» come il Camerlengo Tarcisio Bertone e il Decano Angelo Sodano puntano a sistemare un italiano al comando — il nome è quello di un grande diplomatico come il cardinale Ferdinando Filoni —, il governo della Curia è fondamentale.
Così c’è il candidato sudamericano e ci sono i candidati Usa. Fin dall’annuncio di Benedetto XVI, però, ci sono stati due nomi «favoriti» e rimasti opportunamente distanti dalle tensioni di questi giorni: il canadese Marc Ouellet, teologo poliglotta che conosce bene l’America Latina, e l’italiano Angelo Scola, due «ratzingeriani» che si dividono il sostegno dei confratelli Usa. Un paradosso apparente dell’arcivescovo di Milano, tra l’altro, è il consenso che gli viene anche da chi al conclave del 2005 sarebbe stato dalla parte di Carlo Maria Martini: la divisione classica, appunto, è saltata, Scola garantisce la «riforma spirituale» di Ratzinger ed è apprezzato dai «progressisti» come dall’Opus Dei. Tra gli italiani, è percepito come il meno legato alla Curia. Fondatore della rivista internazionale Oasis, Scola è apprezzato e vede crescere i consensi, al momento, fuori Curia e fuori Italia: un po’ come il cardinale Gianfranco Ravasi, che però non ha kingmaker.
Per questo il fattore tempo, il giorno in più e il succedersi degli scrutini, può essere decisivo. Alla fine, nelle more del duello tra America del Nord e del Sud, gli elettori — a cominciare dai 60 europei — potrebbero andare sul sicuro e affidarsi al Vecchio Continente: Scola, appunto, ma anche l’austriaco Christoph Schà¶nborn o l’ungherese Péter Erdà¶. Il tempo, d’altra parte, gioca anche a favore delle sorprese, Africa e Oriente sono suggestioni molto meno remote. L’elezione di Wojtyla, nel ’78, almeno in questo resta esemplare. Le riunioni sono importanti, certo. Alla fine, però, «i Papi si fanno in conclave».
Gian Guido Vecchi


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