Quel no al governo del presidente L’ultima sfida del segretario

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ROMA — Pier Luigi Bersani tenta di giocarsi le ultime carte al tavolo della presidenza del Consiglio. Il segretario del Partito democratico va al Quirinale e non sfugge al confronto con l’inquilino del Colle. Né rinuncia a giocare duro: «Non c’è un altro tentativo oltre il mio, non esiste un governo che prenda più voti di quanti ne possa prendere io. Noi non possiamo fare compromessi obbligati: il nostro elettorato ci guarderebbe malissimo. Faremmo un regalo a Grillo e anche a Berlusconi».
Poi, per perorare la sua causa il segretario del Pd spiega: «Non è possibile che chi ha perso le elezioni possa indicare il candidato alla presidenza della Repubblica». Quindi Bersani lascia intravedere uno spiraglio a Napolitano: «Maroni mi ha detto che preferisce me a un tecnico, perché dice che so quello che si deve fare…». A onor del vero, però, non sono queste le parole che hanno mosso Giorgio Napolitano a un supplemento d’indagine. È stato un altro discorso quello che ha colpito il capo dello Stato, che non pensava di trovarsi di fronte un Bersani così poco propenso a gettare la spugna di fronte all’evidenza: «Se vuoi fare il governo del Presidente, sappi che noi possiamo al massimo garantirti un appoggio esterno. Nel senso che lo faremo nascere ma non lo sosterremo in nessun modo e ogni volta che ci capiterà  di dover votargli contro lo faremo senza problemi».
Al Pd raccontano che dopo le parole di Bersani il presidente della Repubblica si sia inquietato. Già , perché sempre a largo del Nazareno giurano e rigiurano che il patto tra il capo dello Stato e il segretario era chiaro: tu provi a formare un governo, ma se non ci riesci sai che non si va alle elezioni, bensì a un esecutivo di scopo che mandi in porto poche fondamentali cose: riforma della legge elettorale, revisione radicale del finanziamento pubblico dei partiti, riduzione dell’Imu, legge di stabilità . È su questo patto che è nato il tentativo Bersani. Ma ora il segretario del Partito democratico ha spinto più in là  la frontiera del confronto: «Io sono pronto ad andare in Parlamento a cercarmi la maggioranza nelle aule sugli otto punti del mio programma. Se tu pensi che non si possa andare così, mi devi dimostrare che c’è una maggioranza alternativa: a quel punto io mi farò da parte».
Ma mentre il segretario gioca la sua partita per palazzo Chigi, nel partito si è aperta la corsa alla premiership prossima futura. In aprile verrà  convocata una direzione straordinaria, cui spetterà  il compito di indire le procedure per il congresso del Pd che si terrà  in autunno. A quel punto Matteo Renzi dovrà  rettificare la sua road map. Lui non avrebbe voluto incrociare la sua rincorsa a quella interna al Pd. La sua idea era quella di giocarsi la partita per la premiership evitando quella per la segreteria. Ora diventerà  più difficile tenersi lontano da quella tenzone. Renzi lo sa e prepara le contromosse con un unico punto fisso: «Non mi farò mai cooptare da quelli».
Quelli sono lì, che lo aspettano. Alcuni speranzosi di coinvolgerlo e di mettersi dietro di lui per evitare l’ondata grillina. Non a caso ogni giorni il sindaco di Firenze parla con Enrico Letta, Dario Franceschini e Vasco Errani. Ossia con gli esponenti che in questi giorni stanno seguendo da vicino le trattative di Bersani. Errani poi è uno dei membri del cosiddetto “tortello magico”, ossia del circolo degli emiliani di cui il segretario si fida ciecamente.
Comunque il sindaco rottamatore sta scaldando i motori per riavviare la sua campagna elettorale. In questi giorni, lontano dalle luci dei riflettori e dai microfoni dei cronisti, Renzi ha incontrato sia Massimo Zedda, sindaco Sel di Cagliari, che il primo cittadino di Napoli Luigi de Magistris. Formalmente incontri tra colleghi, in realtà  colloqui che servono a Renzi per rafforzarsi sul fianco sinistro, quello che è risultato il più debole nelle primarie combattute contro Bersani. Il sindaco rottamatore sa che è a sinistra che gli mancano ancora i consensi, come sa che in quel mondo stanno pensando a una candidatura alternativa a lui: quella della presidente della camera Laura Boldrini o del primo cittadino di Milano Giuliano Pisapia.


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