Quattro cose sul reddito di cittadinanza

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Reddito di cittadinanza o reddito minimo garantito?
Sul sito la Voce.info Tito Boeri e Roberto Perotti hanno cercato di fare un po’ di chiarezza tra i due termini che vengono usati come sinonimi, ma che decisamente sinonimi non sono. Il reddito di cittadinanza (basic income guarantee in inglese) è un sussidio universale e non condizionato: in altre parole lo ricevono tutti quanti, per un tempo indefinito e indipendentemente dalla loro ricchezza o da altri redditi che percepiscono. Se si dovesse stabilire un reddito di cittadinanza di 500 euro mensili, ad esempio, verrebbe percepito tanto dalla famiglia Agnelli quanto da un 50enne appena licenziato.

Il reddito minimo garantito (guaranteed minimum income in inglese) è invece un programma universale – cioè ha regole valide per tutti – e condizionato: nel senso che le sue regole determinano chi può avere accesso al sussidio e chi no. Ad esempio, il reddito minimo garantito potrebbe essere condizionato al non percepire altri redditi e all’essere iscritti a una lista di collocamento. Il reddito di cittadinanza non esiste in quasi nessun paese del mondo: uno dei casi più noti di paesi che ce l’hanno è lo stato americano dell’Alaska. Il reddito minimo garantito invece è molto diffuso in Europa, anche se spesso molto discusso e criticato.

I politici hanno dimostrato una grande confusione su questi due termini. Ad esempio: nel programma di SEL si parla esplicitamente di un reddito minimo garantito di 600 euro, ma in diverse interviste Nichi Vendola ha parlato della necessità  di introdurre un reddito di cittadinanza. Nei 20 punti di Grillo si nomina espressamente il reddito di cittadinanza, ma quando Grillo sostiene che l’Italia è l’unico paese a non averlo in Europa, sta parlando del reddito minimo garantito, il che è confermato dalla interviste ad alcuni parlamentari del M5S che parlano esplicitamente di un sussidio condizionato.

Quali sono i problemi?
Il reddito di cittadinanza ha un solo problema: è molto, molto costoso. Boeri e Perotti hanno calcolato che un reddito di cittadinanza pari a 500 euro per tutti i cittadini italiani di età  superiore ai 18 anni costerebbe circa 300 miliardi, il 20% del PIL, poco meno della metà  di quanto attualmente spende lo Stato ogni anno per tutte le sue attività .

Il reddito minimo garantito, invece, è molto più economico, ma è difficile fare una stima esatta. Essendo una misura “condizionata”, bisognerebbe capire quali sono le regole che lo farebbero scattare prima di poter ipotizzare il suo costo. Boeri e Perotti stimano un ordine di grandezza tra gli 8 e i 10 miliardi di euro per un reddito minimo garantito di 500 euro. Il problema, in questo caso – oltre al costo, che comunque non è indifferente – è che il reddito minimo di cittadinanza in certe condizioni rappresenta un disincentivo al lavoro.

Se ipotizziamo, come si è spesso sentito dire, un reddito minimo garantito di mille euro al mese, è chiaro che nessuno lavorerà  più per meno di mille euro: dovrebbe rinunciare al sussidio per lavorare ottenendo la stessa cifra. Probabilmente in pochi però lavorerebbero anche per 1.200 euro: il guadagno netto sarebbero solo 200 euro, ma in cambio bisognerebbe lavorare invece che stare a prendere il sole in spiaggia. Per questo in genere il reddito minimo garantito è condizionato da clausole come una durata limitata oppure essere iscritti alle liste di collocamento e non rinunciare a più di un certo numero di offerte di lavoro.

Chi lo vuole
Per quanto sia chiaro che i politici non hanno ben capito la differenza tra i due redditi, i loro programmi sono più precisi. SEL e Rivoluzione Civile hanno nei loro programmi degli accenni al reddito minimo garantito, senza però precisare a quali condizioni e per quanto dovrebbe essere erogato. I 20 punti del Movimento 5 Stelle sono gli unici a parlare di reddito di cittadinanza, ma come abbiamo visto Grillo probabilmente intende un’altra cosa.

Il Movimento 5 Stelle è anche l’unica forza politica ad aver finora esplicitato i dettagli della sua idea di reddito minimo garantito. O almeno lo ha fatto un suo esponente, il deputato Alfonso Bonafede. In un’intervista al Fatto Quotidiano Bonafede ha detto: «Vorremmo fosse intorno ai 900-1000 euro che consente di non rinunciare ai propri diritti, di non diventare schiavo. Durerà  tre anni e si riceveranno un massimo di tre offerte in base alle proprie competenze attraverso gli uffici di collocamento, che devono essere potenziati, al terzo rifiuto il reddito viene tolto».

Il PD non ha preso una posizione chiara nel programma sul reddito minimo garantito, anche se alcuni esponenti, come ad esempio Rosy Bindi, hanno aperto a questa possibilità  durante la campagna elettorale. Negli 8 punti presentati dal segretario Pierluigi Bersani alla direzione nazionale del partito mercoledì scorso è presente un vago accenno a qualcosa che assomiglia al reddito minimo garantito. Viene indicato come «Salario o compenso minimo per chi non abbia una copertura contrattuale». Una definizione piuttosto vaga che non chiarifica esattamente cosa intenda Bersani.

Come funziona in Europa e in Italia
Italia, Grecia e Ungheria sono gli unici tre stati dell’Europa a 27 a non avere una qualche forma di reddito minimo garantito. La media del sussidio nei paesi europei prima dell’allargamento (cioè tenendo conto di Regno Unito, Germania, Francia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Danimarca, Finlandia, Paesi Bassi, Lussemburgo e Svezia) è di 400 euro. Questo non significa che in Italia la spesa per la protezione sociale – che comprende tutto: dalle pensioni a sussidi di disoccupazione – sia inferiore a quei paesi. La spesa per la protezione sociale in Italia è in linea con la media europea.

In Italia, infatti, ci sono già  numerosi programmi di aiuti alla povertà  e di sussidi alla disoccupazione, sia a livello locale che nazionale: assegni di assistenza, assegni familiari, indennità  di frequenza minori, pensioni di inabilità , indennità  di accompagnamento e la nuova ASPI. A questo elenco andrebbe probabilmente aggiunta la cassa integrazione, che è una cosa molto particolare, ma che probabilmente verrebbe eliminata dall’introduzione di un reddito minimo garantito.

Il problema è che questi aiuti sono spesso “mal mirati”. Le persone che vengono aiutate da questo insieme di strumenti non coordinati sono, secondo una ricerca della Bocconi, solo per il 27% sotto la soglia di povertà . La parte più complessa dell’introduzione del reddito minimo garantito, oltre a trovare i fondi necessari, sarebbe riorganizzare e razionalizzare tutti questi aiuti, in modo da renderli più semplici da gestire e meglio diretti a chi ne ha davvero bisogno.


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