Presidenze, Grillo contro il Pd: foglie di fico, ma durerà  poco

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ROMA — Alle 13.10, dopo l’Angelus, arriva anche il post di Beppe Grillo che sul suo sito se la prende con «l’impresentabile» Pier Luigi Bersani e con i suoi candidati «foglia di fico» eletti ai vertici di Camera e Senato. Le presidenze dell’ex portavoce Onu, Laura Boldrini, e dell’ex procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, non sono gradite in casa del leader del M5S che le archivia e pronostica: «Dureranno lo spazio di una legislatura che si annuncia breve». Tuttavia, nel Movimento 5 Stelle rimane aperta, e sanguinante, la ferita del voto in dissenso di una decina di senatori che, contro la decisione assunta a maggioranza dal gruppo, hanno scritto Grasso sulla scheda: «Il voto segreto non ha senso — tuona Grillo dal suo blog —, l’eletto deve rispondere ai cittadini con il voto palese. Per questo vorrei che i senatori del M5S dichiarassero il loro voto…». Dunque, la soluzione può essere una sola: «Se qualcuno si fosse sottratto a questo obbligo, di votare secondo le decisioni prese a maggioranza dal gruppo, ha mentito agli elettori e spero ne tragga le dovute conseguenze».
Bersani apprende tutto questo mentre è a Brescia e gli viene subito in mente un commento feroce, parafrasando Stato e Rivoluzione scritto quasi cento anni fa da Vladimir Lenin: «Il M5S fa riunioni a porte chiuse e poi vuole lo streaming quando va dal capo dello Stato, secondo un antico e conosciuto leninismo. “Sono un cuneo… mi organizzo più o meno segretamente e poi approfitto di tutti gli spazi che la borghesia cogliona e capitalista mi offre…” Non sono grandissime novità ».
Non c’è pace tra il Movimento di Grillo e il Pd. Ma al Senato i numeri sono sotto gli occhi di tutti e a proposito di fiducia a un possibile governo Bersani il segretario del Pd la mette così: «Non sono alla ricerca di deputati o senatori, sia chiaro. Quando ho detto scouting, chi ha capito che andavo a catturarmi i parlamentari ha capito il rovescio». Perché, spiega ancora Bersani, «scouting vuol dire che io voglio capire se quella formazione in quanto tale si prende delle responsabilità  rispetto al ruolo parlamentare che ha voluto rivestire, che comprende anche dire la propria sul tema del governo».
I senatori grillini, anche quelli che hanno votato il candidato del Pd al vertice di Palazzo Madama, giurano che non diranno mai sì alla fiducia se si presenta in Parlamento un governo Bersani. E anche Grillo, a oltre venti giorni dalle elezioni, non si occupa di chi sarà  il nuovo inquilino di Palazzo Chigi ma, piuttosto, mostra di essere molto preoccupato per la scelta del nuovo capo dello Stato: l’elezione del «presidente della Repubblica è fondamentale per il futuro dell’Italia perché rimane in carica per sette anni (travalica le legislature) con poteri da monarca».
Poi Grillo, dopo aver citato tutti gli articoli della Costituzione che da oltre mezzo secolo regolano nell’Italia repubblicana poteri, prerogative e immunità  della prima carica dello Stato, fa la sua mossa ad excludendum: «Il candidato del Pdl e di parte (gran parte?) del Pdmenoelle è Massimo D’Alema. Non è ufficiale e nemmeno ufficioso ma è molto plausibile». Per cui sulla corsa al Colle, il M5S organizza il fuoco di sbarramento e dice che un’eventuale candidatura D’Alema «sarebbe irricevibile dall’opinione pubblica, un fiammifero in un pagliaio. Il Paese, con i Super Maxi Poteri a D’Alema, non reggerebbe a sette anni di inciucio. Un passo indietro preventivo e una smentita, anche indignata per le “voci infondate”, sarebbero graditi…».
Su questo snodo — visto che dal 15 aprile sarà  il plenum di Camera e Senato più i rappresentanti regionali a votare il nuovo capo dello Stato — Grillo rimane senza risposta. Ma poi si fa sentire Beppe Fioroni (Pd) che definisce «paranoia delirante» le dimissioni chieste ai senatori grillini dissenzienti. Mentre il deputato Davide Zoggia (Pd) accusa Grillo di non «cogliere» i segnali di cambiamento». Infine, citando le potenziali responsabilità  di governo del M5S, Bersani sintetizza con una delle sue massime: «Il Parlamento non è la torta dove prendere solo le ciliegine».


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Il falso pacifismo

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Il «pacifismo» del ministro Frattini è durato dieci minuti. Dopo avere proposto alla Nato una sospensione delle operazioni militari per la creazione di corridoi umanitari, di fronte al no duro del segretario dell’Alleanza Rasmussen che ha risposto «i bombardamenti continuano» e del governo britannico che ha dichiarato «anzi, ne faremo di più», ha subito fatto coraggiosamente marcia indietro raccontando ad Al Jazeera che la sua «non era assolutamente una proposta italiana, ma solo un’ipotesi di lavoro». Pace fatta sulla Libia tra Nato e Italia dunque.

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