Parlamento e conflitto d’interessi Bersani studia i primi atti di governo

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ROMA — «Non vorrei essere ripetitivo, ma se dovessimo vincere questa volta fatela una legge sul conflitto di interessi…». Così parlò Nanni Moretti dal palco dell’Ambra Jovinelli, il giorno in cui Pier Luigi Bersani chiuse la campagna convinto di avere la vittoria in tasca. È andata diversamente, ma ora che il segretario del Pd ha ritrovato un filo di ottimismo sulla possibilità  di formare un esecutivo, ha deciso di afferrare il toro per le corna. La prima legge del suo (eventuale) governo riguarderà  proprio il tema che tanti ritengono il peccato originale del centrosinistra: il conflitto di interessi per le cariche di governo, e non solo.
Alla vigilia dell’elezione dei capigruppo, il candidato premier lancia la sua proposta per l’abrogazione della legge Frattini del 2004. L’obiettivo è rafforzare i controlli e introdurre sanzioni più severe, non solo per il premier e gli esponenti del governo, ma anche per i titolari di cariche nelle Regioni e negli enti locali e per i membri delle autorità  indipendenti. Chi viola le norme rischia la decadenza dalla carica, sanzione che può essere schivata vendendo proprietà  in conflitto o trasferendone la gestione a un blind trust.
Se toccherà  a lui riformare la politica, Bersani userà  il pugno duro. Dirà  basta ai doppi incarichi, aumenterà  i poteri dell’Autorità  garante e renderà  le sanzioni «immediatamente applicabili». Una delle novità  è il concetto che il conflitto va prevenuto, attraverso nuovi sistemi di controllo e grazie all’inasprimento dei criteri di ineleggibilità  e incompatibilità : secondo il Pd i limiti di pena oltre i quali non ci si può accomodare su una pubblica poltrona vanno abbassati o persino eliminati. Chi ha precedenti penali non può entrare in Parlamento per sfuggire a una condanna.
Misure in sintonia con il rapporto dell’Antitrust in cui si chiede, anche per rilanciare l’immagine dell’Italia, di rivedere la legge Frattini: evidenziando come all’estero siano in vigore soluzioni più radicali, «quali la cessione della proprietà  o il blind trust». Nella relazione al Parlamento l’Antitrust promuove il governo Monti perché «tutti i titolari di carica» (tranne uno) hanno inviato le dichiarazioni di incompatibilità .
Nel Pd è battaglia per l’elezione oggi dei presidenti dei gruppi. Bersani vorrebbe congelare per alcuni giorni Dario Franceschini e Anna Finocchiaro, così da poter affrontare le consultazioni al Quirinale con un team collaudato. Ma i capigruppi uscenti resistono: accetteranno l’incarico pro tempore solo se il pressing sarà  forte e condiviso. Altrimenti Bersani dovrà  cambiare schema e sparigliare: se il metodo sarà  quello del colpo a sorpresa, la scelta potrebbe cadere su Guglielmo Epifani e Claudio Martini. L’idea degli esordienti che lo tenta e lo preoccupa. E così la proposta potrebbe arrivare a Enrico Letta per Montecitorio e Maurizio Migliavacca per Palazzo Madama.
Il problema è che i «giovani turchi», che hanno lanciato Andrea Orlando, invocano il ricambio immediato e potrebbero trovare appoggio nella valanga di nuovi eletti. La segreteria di Bersani è spaccata, al Nazareno si racconta che Matteo Orfini sia pronto a non votare la «prorogatio» di Franceschini. I nomi alternativi si sprecano: Boccia, Fiano, Marina Sereni, Rosa Calipari, Alessia Mosca, Paola De Micheli… I deputati di Areadem sono in fibrillazione e anche tra i senatori l’agitazione è palpabile: Zanda, Casson, Tonini, il renziano Marcucci e Laura Puppato stanno raccogliendo le firme per candidarsi, pronti a ritirarle se Bersani dovesse impuntarsi sul rinnovo di Finocchiaro. Da Firenze, Matteo Renzi ha apprezzato la mossa che ha portato all’elezione di Laura Boldrini e Pietro Grasso, ma sul tentativo di Bersani il sindaco non è ottimista: «I numeri ottenuti non danno la garanzia di formare il governo…».


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