Ora il Cavaliere si sente accerchiato: accordo di governo o alle urne a giugno

by Sergio Segio | 8 Marzo 2013 8:08

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Accerchiato da sentenze in arrivo e inchieste appena aperte, convinto che oltre a quelle appena subite altre condanne arriveranno a breve (a partire dal processo Ruby), angustiato dal dolore agli occhi che, assicurano, lo tormenta davvero, Berlusconi è descritto come arrabbiato e deluso da un Pd che «non farà  l’accordo con Grillo e non lo farà  nemmeno con noi, perché la loro base è troppo contraria e non avranno la forza di opporsi». Per questo, è stato il suo ragionamento, è inutile andare con il cappello in mano a elemosinare gesti di apertura che non arriveranno. O, è la linea, «si siglerà  un accordo di governo alto e alla luce del sole, politico, vero» attraverso il quale lui avrà  il riconoscimento di leader della coalizione e, dicono i suoi, garanzie su una riforma della giustizia «doverosa» e sul suo futuro personale, altrimenti «meglio il voto».
È infatti il «voto subito, a giugno» l’ultima frontiera sulla quale si attesta il Pdl stretto tra la difesa voluta del Capo (e obbligata anche dai lamenti dello stesso Berlusconi che si è sentito negli ultimi giorni poco difeso dai suoi) e l’attacco per ottenere qualcosa di utile in questa legislatura, se davvero partisse. Maroni in realtà  si limita ad annunciare quale debba essere la via maestra: no al voto, sì a un «governo politico di grande coalizione, che duri cinque anni, affronti la crisi economica e faccia quelle riforme costituzionali che da troppo tempo sono attese». Ma in via dell’Umiltà  è compatto il fronte di chi aggiunge che, venendo meno questa ipotesi, bisognerebbe forzare sul voto subito, prima dell’estate, anche se i tempi sembrano ristrettissimi e le possibilità  di ottenere il ritorno immediato alle urne, senza una nuova legge elettorale, quasi nulle.
Il perché di tanta fretta? È evidente nella scansione delle possibili sentenze sull’ex premier: se si votasse in autunno o in primavera, potrebbe essere già  arrivata la sentenza definitiva della Cassazione sul processo Mediaset, che se confermasse la condanna in primo grado di 4 anni vedrebbe per il Cavaliere anche l’interdizione dai pubblici uffici e dunque la decadenza da parlamentare, oltre che il rischio di carcerazione. Poi certo, nonostante ieri gli animi fossero agitatissimi, e nella riunione in via dell’Umiltà  si sia parlato di come rendere il più potente possibile la manifestazione anti-giudici del 23, si ragiona anche ad ipotesi intermedie, in vista di una possibile trattativa. Come quella di un governo a guida tecnica ma «con ministri politici». Non proprio un governissimo ma qualcosa che ci somiglia. Qualcosa che abbia una durata tale da impedire la «trappola» del voto a novembre. E qualche forma di salvacondotto, mai davvero ben individuato da nessuno, che Berlusconi e i suoi pretendono.

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