by Sergio Segio | 17 Marzo 2013 8:00
Parole che sono cadute nel vuoto. Ieri 131 Paesi su 198 hanno firmato la Carta che chiede protezione, promozione di diritti umani e libertà fondamentali per donne e bambine. Lo schiaffo più forte ai Fratelli musulmani l’ha dato Mervat Tallawy, capo della delegazione egiziana, quando ha firmato il testo di 17 pagine senza colpo ferire. «Credo nella causa delle donne — ha detto Tallawy —. Non prendo denaro dal governo, lavoro in modo volontario e se vogliono farmi fuori possono farlo. Ma non cambierò idea sull’argomento. Le donne sono schiave in questa era, e questo è inaccettabile. Soprattutto nella nostra regione». In Egitto, secondo alcuni dati, l’83% delle donne è stata molestata sessualmente. Gli islamici egiziani, la più potente forza politica nel Paese dalle rivolte del 2001, avevano proposto un emendamento al testo che avrebbe consentito a ogni Stato di modellare la Carta in base alle proprie leggi. Ma si sono ritrovati isolati e alla fine a votare contro il documento sono stati solo i libici mentre gli altri Paesi che avevano espresso perplessità , tra cui Iran, Sudan e Arabia Saudita, hanno firmato. Tra i punti considerati inammissibili c’è la «piena uguaglianza nel matrimonio» che toglie ai mariti l’autorità sul divorzio e consente di denunciare il coniuge violento e la garanzia di libertà sessuale per le ragazze compreso l’accesso ai contraccettivi. Ora però bisogna passare dalle parole ai fatti. L’ha ricordato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, quando ha detto di «sperare che tutti i partner che sono arrivati a questa storica sessione ora trasferiscano l’accordo in azioni concrete». Il documento, infatti, non è vincolante ma «esorta tutti i Paesi a condannare ogni forma di violenza contro le donne e le bambine, e ad astenersi dall’invocare qualsiasi costume, tradizione o considerazione religiosa per non rispettare i propri impegni a favore della sua eliminazione». Il messaggio è forte e chiaro.
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