Nel pre Conclave dei cardinali stranieri dove americani ed europei già  contano i voti

by Sergio Segio | 3 Marzo 2013 7:48

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ROMA — Nell’immenso casermone sul Gianicolo che è il Collegio nordamericano, il cardinale arcivescovo di Washington Donald Wuerl, è chiuso in un ritiro «assoluto». Prega per il Conclave e dice soltanto: «Il secolarismo attacca la Chiesa e ci circonda. C’è bisogno di tornare al Vangelo. Il Papa che verrà  dovrà  saper arrivare in tutto il mondo usando ogni mezzo di comunicazione a disposizione ». Chi è il suo candidato? Non risponde, ma rimanda a quanto ha detto alla Abc: «Non penso sia possibile un Papa statunitense. Ci sarebbero troppe contro indicazioni, a cominciare dal fatto che in quanto appartenente a una superpotenza il suo messaggio spirituale sarebbe poco credibile». Non è un mistero per nessuno che a Wuerl piaccia Angelo Scola, l’arcivescovo di Milano. Vede in lui l’energia giusta per traghettare la Chiesa nel mondo, e insieme la forza per ribaltare la curia romana, fare pulizia, sistemare i problemi di governo. Sulla medesima linea Francis George, cardinale presidente emerito dei vescovi statunitensi, fra i primi a dire: «Analizzeremo prima del Conclave i problemi di governance della Chiesa con coloro che hanno realizzato il rapporto-Vatileaks».
Sono undici i cardinali statunitensi elettori, secondo gruppo dopo gli italiani. Hanno investito molto nel Vaticano, aiutati dal potente braccio economico dei Cavalieri di Colombo i quali hanno in Carl Anderson, membro del board dello Ior, una figura di riferimento decisiva. La loro presenza si nota ovunque oltre il Tevere, basta saper leggere i segni. La facciata di San Pietro, rifatta daccapo per il Giubileo, è opera loro. I grandi camion del Centro televisivo vaticano parcheggiati intorno a piazza San Pietro portano sulle fiancate il loro enorme stemma. Dice John Allen, editorialista del National catholic reporter e autore con il cardinale Timothy Dolan, arcivescovo di New York, del saggio “A people of Hope”: «Al di là  dei nomi, ai cardinali statunitensi interessano due cose. Che il nuovo Papa venga da una diocesi immacolata quanto alla pedofilia nel clero. E che sia un business manager, una persona che sappia governare la Chiesa a Roma e nel mondo. In questo senso ad alcuni piace Scola, ad altri il franco canadese prefetto dei Vescovi Marc Ouellet. Nessuno ammette di pensare a un nome interno, ma le quotazioni di Dolan sembrano salire». E con lui salgono quelle del cappuccino Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, che ieri, col suo saio francescano che indossava già  da missionario sull’Isola di Pasqua, passeggiava in piazza San Pietro come un semplice fedele.
La compagine sudamericana è sparsa in più collegi. Nell’ultima tornata di nomine di Benedetto XVI c’è stato l’inserimento del suo grande antagonista al conclave
del 2005, il cardinale arcivescovo di Buenos Aires Jorge Mario Bergoglio, come nuovo membro della Commissione per l’America Latina. Bergoglio risiede in solitudine nella Casa del clero in via della Scrofa. Oggi ha 76 anni. Per molti suoi connazionali resta un papabile.
Come papabile è un altro porporato che ha scelto l’isolamento: il cardinale di Lima Jean Luis Cipriani, ospitato a Villa Tevere, quartier generale dell’Opus Dei.
Diversi brasiliani sono chiusi, invece, nelle mura del Pontificio collegio Pio Brasiliano in via Aurelia. L’unico a parlare di loro è Geraldo Majella Agnelo, arcivescovo emerito di Sà£o Salvador da Bahia, che dice: «Non eleggeremo un Papa di transizione, non esiste questa possibilità ». E ancora: «Il Conclave che si apre fra pochi giorni sarà  diverso» da quello del 2005. «Ci sono molti dubbi». I sudamericani avranno un candidato? «Non abbiamo parlato di questo e non lo faremo. Ci incontreremo solo per sapere come sarà  il Conclave, non indicheremo alcun nome ». Già , eppure qualche nome sul piatto c’è. Oltre all’arcivescovo di Rio de Janeiro Odilo Pedro Scherer (si parla di una cordata che lo vorrebbe eleggere portando un italiano al suo fianco come segretario di Stato), anche (e soprattutto) il curiale Ouellet il quale, in quanto prefetto dei vescovi, presiede anche la commissione per l’America latina. Su di lui sembrano orientati i messicani residenti al collegio nazionale a Roma dove però “sponsorizzano” anche l’arcivescovo di Guadalajara monsignor José Francisco Robles Ortega.
A finanziare in modo massiccio il Vaticano non ci sono soltanto i Cavalieri di Colombo. È anche la potente Conferenza episcopale tedesca a convogliare su Roma ingenti somme di offerte. Ma a differenza degli statunitensi, i tedeschi sembrano arrivare al Conclave senza candidati interni. Al Collegio Germanico non sono arrivati ancora tutti. Chi c’è ripete quanto va dicendo da giorni il cardinale Karl Lehman, vescovo di Magonza: «Sarà  un Conclave lungo. C’è molto di cui parlare». Di lingua tedesca, ma austriaco primate di Vienna, Christoph Schà¶nborn dorme presso la Comunità  dell’Agnello alla basilica dei Quattro Coronati. Amato dai cardinali della Mitteleuropa, è lui che la Comunità  di Sant’Egidio ha scelto per condurre domani sera una liturgia della Parola presso la basilica di san Bartolomeo all’Isola Tiberina.

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