by Sergio Segio | 6 Marzo 2013 7:40
ROMA — «Si sono inventati di tutto tranne, per ora, una fuga di Napolitano alle Maldive». La battuta, agra, circola nell’entourage del capo dello Stato e rende bene l’idea del fastidio con cui da lassù si segue la rincorsa di illazioni, congetture, formule su come sarà gestita l’impasse del postelezioni. Un florilegio di azzardi tra i quali non mancano scatti d’umore al limite della sfrontatezza. Un esempio l’ha offerto ieri Matteo Orfini, responsabile informazione e cultura del Partito democratico, dicendo: «Sommessamente vorrei ricordare che non rientra tra le prerogative che la Costituzione attribuisce al presidente della Repubblica definire la linea politica del Pd e quindi escludo che il Colle abbia intenzione di partecipare al dibattito interno al nostro partito».
Una sortita aggressiva e infelice, che dimostra insicurezza, ipersensibilità e disagio — se non un vero e proprio gelo, ormai — nel rapporto tra l’inquilino del Quirinale il suo partito d’origine. Una sortita sbagliata, anche perché al momento è sicura solo una cosa, di quanto farà il capo dello Stato. Cioè che aprirà le consultazioni il pomeriggio del 19 marzo. Prima di quella data è impossibile, anche se «uno sforzo di celerità » è stato fatto dalla magistratura, ringraziata per questo, alla quale spettano le verifiche dei risultati.
È lo stesso Quirinale ad annunciarlo, spiegando che «difficoltà di vario ordine non consentono un’anticipazione della data di convocazione delle Camere, già fissata per il 15 marzo». Suggerendo però che non tutto il male vien per nuocere. Infatti, se naufraga la speranza di accorciare di qualche giorno (si puntava almeno a tre, con un guadagno reale di quasi una settimana), si osserva però che «resta ancora un ampio spazio per una proficua fase preparatoria delle consultazioni». Il che significa un po’ di tempo in più per far decantare il clima teso di questo momento e approfondire «le riflessioni» di, e tra, le forze politiche. Vale a dire dialoghi e negoziati. Napolitano vorrebbe meno concitazione e meno esasperazione, tra gli attori della partita. Ma non per un suo spirito censorio, quanto perché sa bene come, con l’aria che tira, diventi arduo aprire un confronto proficuo e perfino incontrarsi. Gli pare che se ne abbia paura, e lo colpisce in particolare il quasi-silenzio del Pdl, una delle tre «forze di minoranza» uscite dalle urne. Ma forse è presto. Forse, in casa del centrodestra si attende che la trattativa si concentri sulle presidenze dei due rami del Parlamento, confidando di ottenerne una.
Il problema è che, nelle reciproche diffidenze, da ogni versante politico si «demonizza il dialogo». Attribuendogli di per sé una valenza negativa, di basso profilo, nel timore che per l’opinione pubblica si traduca nell’anticamera dell’eterno inciucio. Bisogna dunque che si spezzi la paralizzante incomunicabilità di questi giorni (e un banco di prova saranno le elezioni per assicurare una guida alla Camera e al Senato). Bisogna che tutti si convincano della necessità di «dare un governo al Paese» e agiscano di conseguenza, con realismo. In modo da presentargli, se ci riusciranno, una soluzione nel Gran Consulto al Quirinale. Altrimenti dovrà pensarci lui. Ed è a tutti noto che, se di qui al 19 marzo qualcosa non cambia, Giorgio Napolitano ha pochissime opzioni disponibili.
La formula del governo di minoranza evocata dal segretario del Pd Bersani, ad esempio, è un’ipotesi che non lo convince, perché non sarebbe sostenuta da un’indispensabile e salda fiducia preventiva. Più possibilità , benché pure questo in salita, avrebbe un esecutivo «di scopo» (o «di responsabilità » o «del presidente» o «di transizione», a seconda delle fisionomia che potrebbe avere), guidato da una personalità di caratura istituzionale e super partes, con un’agenda limitata a pochi punti su cui far convergere un ampio arco di forze. E in questo scenario che è chiaramente d’emergenza la rosa dei candidati non è, tutto sommato, così ristretta.
Si vedrà . In tanta complessità un dato è confortante, per il capo dello Stato: i più delicati indicatori dell’economia, compreso lo spread, non sono negativi. Non come era lecito temere. Come se i mercati, al pari del presidente della Commissione europea Manuel Barroso, che ieri ha espresso a Napolitano «piena fiducia nell’Italia», fossero più calmi e pazienti di certi nostri leader politici.
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