Marzo 2013: fine dell’emergenza Nord Africa?

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I gruppi di persone arrivati in Italia a seguito della vicenda libica sono in realtà  solo in parte libici: molti vengono da Nigeria, Tunisia, Somalia ed Eritrea e inoltre vi è un consistente gruppo di migranti che lavoravano in Libia e che sono fuggiti nel corso del 2011 e del 2012 da una situazione per loro minacciosa. Molti di loro oggi sono ancora in Italia e non sanno cosa attendersi per il futuro. Saremo in grado di essere all’altezza della situazione?

Il progetto Emergenza Nord Africa prevedeva un programma di “accoglienza integrata”, grazie al quale i rifugiati avrebbero potuto usufruire non soltanto di assistenza immediata per quanto riguarda vitto e alloggio, ma anche la possibilità  di accedere a progetti di integrazione, dall’insegnamento della lingua italiana all’assistenza psicologica, a servizi di orientamento per il lavoro e per la ricerca di un’abitazione. Inoltre, essi sono stati momentaneamente accolti con permessi temporanei dallo Stato italiano, ma tale status giuridico necessita di essere rivisto entro la fine dello stato di emergenza e i tempi sono sempre più stretti.

Grazie a questo progetto di accoglienza, nel giro di un paio d’anni le competenze di gestione dei rifugiati sarebbero passate dalle mani delle Protezione Civile agli enti locali – Regioni, Province e Comuni – procedendo pari passo con l’integrazione dei rifugiati nella società  attraverso lo svincolamento dalle strutture assistenziali attraverso il lavoro e la partecipazione alla vita della comunità , come futuri cittadini.

Il passaggio intermedio ha presentato più di qualche pecca.

Il 28 febbraio 2013 scadeva la seconda proroga, emanata a fine 2012 dal governo Monti, allo “stato di emergenza umanitaria nel territorio nazionale in relazione all’eccezionale afflusso di cittadini provenienti dal Nord Africa”. Ad essa segue proprio in questi giorni un’altra proroga fino al 31 marzo, lasciando la palla al nuovo governo.

Non è ancora chiaro quale sarà  il destino delle persone, uomini, donne e minori, attualmente ospiti in strutture di vario tipo: alberghi, istituti, in alcuni casi, abitazioni private. Sì, perché nei quasi due anni di Emergenza Nord Africa gli scandali riguardanti il vitto e l’alloggio dei rifugiati hanno reso un quadro molto poco edificante della società  italiana, e delle istituzioni che avrebbero dovuto vigilare sull’operazione.

Una pianificazione evidentemente poco attenta ha permesso, nei primi mesi dell’operazione, di ottenere i rimborsi previsti (circa 40€ a persona al giorno, raddoppiati per i minori) semplicemente facendone domanda: in questo modo, a mesi di distanza, si sono scoperti appartamenti sovraffollati, camere d’albergo condivise, scuole adibite a dormitori, per non parlare del vitto (in alcuni casi, solo una ciotola di riso) e delle assenti iniziative di sostegno all’integrazione e assistenza psicologica. Alberghi da tempo vuoti, a causa di una posizione sfavorevole o semplicemente troppo vecchi e malandati per essere appetibili alla clientela turistica, hanno riempito camere e casse ospitando decine di profughi e senza che ne venisse controllato l’impegno a fornire le garanzie per l’integrazione di cui sopra. In alcuni casi, riporta l’inchiesta de L’Espresso, alcuni proprietari sono riusciti a “tirare” sul prezzo del rimborso, spuntando fino a 43 euro al giorno per persona.

Fino al 31 dicembre 2012, erano garantiti ai rifugiati, oltre a vitto e alloggio, 5 euro al giorno che, insieme all’attività  di integrazione, avrebbero dovuto essere un trampolino di lancio per entrare a pieno titolo nella realtà  lavorativa e sociale italiana. Dal primo dell’anno 2013, i tagli della spending review hanno coinvolto anche il sussidio: quindi nel corso dei primi due mesi dell’anno i 5 euro al giorno non saranno erogati.

Il problema più grande, però, è cosa succederà  dopo il 31 marzo 2013: terminato lo stato d’emergenza, i fondi per l’ospitalità  non saranno più disponibili e la gestione dei migranti passerà  agli enti locali, in particolare ai Comuni. Tutta l’operazione di sostegno primario ai profughi (vitto e alloggio) doveva essere solamente una fase di passaggio verso l’inserimento socio-lavorativo dei migranti: una volta superata l’emergenza, tutto sarebbe passato nelle mani degli enti locali, che si sarebbero ritrovati a gestire una situazione ricondotta alla normalità . Nella situazione attuale, invece, “alle amministrazioni comunali sono affidati compiti cui non possono sottrarsi, senza le risorse necessarie a provvedervi”, afferma il sindaco di Padova Flavio Zanonato per l’Associazione Nazionale Comuni Italiani.

L’annunciato potenziamento dello SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati costituito dalla rete degli enti locali) non ha beneficiato dei 9 milioni di euro promessi per l’aumento dei posti disponibili e i Tavoli di coordinamento tra Stato e Regioni non si sono rivelati efficaci come sperato.

Nel corso del 2011 i profughi libici sono stati distribuiti in tutte le Regioni a seconda della popolazione delle stesse, in media poco meno di mille persone per regione, con picchi che superano ampiamente le 2 000 per Lombardia e Campania. Con il mese di marzo, tutte queste persone – anche famiglie con bambini – perderanno i loro alloggi, spesso senza aver ricevuto nessun tipo di assistenza all’integrazione, senza contare la peculiare situazione giuridica di molti di loro, alcuni ancora in attesa del permesso per motivi umanitari del quale si è parlato nelle ultime settimane. Molti dei rifugiati, infatti, non hanno uno status giuridico chiaro: la domanda di asilo è stata spesso rifiutata a coloro che erano sì fuggiti dalla Libia, ma che erano originari di altri Paesi africani, valutando la loro richiesta in base alla situazione del Paese di provenienza. Al contrario, si è abusato delle richieste di asilo, non potendo accedere a differenti tipologie di accoglienza. I profughi tunisini, infatti, ottennero un permesso di soggiorno per protezione temporanea – comunque in scadenza – mentre agli altri è stata prospettata solo la via della protezione internazionale. In attesa delle risposte, con tempi dilatati dalla mole di lavoro per i tribunali e con la prospettiva di un peggioramento della situazione in caso di ricorsi, e in vista della scadenza, si richiede il rilascio di un permesso per motivi umanitari. Il governo tecnico, in teoria uscente, in pratica non si sa, non dà  segno di volersi sbilanciare in un ambito dai risvolti politici e lo stallo derivante dalle recenti elezioni non lascia intravedere una strada chiara, in nessun senso.

La speranza è che in tempi molto brevi si trovino delle soluzioni, anche se pare ormai evidente, viste le date limite continuamente procrastinate, che la nostra nazione non è ancora preparata a gestire emergenze sociali ed umanitarie di questo tipo.

Fabio Pizzi


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