Marò, l’India blocca l’ambasciatore italiano

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ROMA — Il braccio di ferro fra Italia e India sul caso dei due marò accusati dell’uccisione di 2 pescatori si sta intrecciando in maniera sempre più pericolosa. Presagio negativo di uno scontro che potrebbe portare i due paesi ad abbassarsi a colpi di mano di ogni genere. Ieri la Corte suprema indiana ha fatto recapitare all’ambasciatore d’Italia a New Delhi, Daniele Mancini, un ordine al di fuori di ogni consuetudine diplomatica.
I giudici chiedono a Mancini di non lasciare il paese fino a una successiva comunicazione, trasformandolo di fatto in un ostaggio al posto dei due marò che non rientreranno mai più in India.
Mancini ha avuto la consegna dalla Farnesina di non parlare più con i media, ma alcuni giornali indiani sostengono che avrebbe già  risposto al Ministero degli Esteri indiano: il diplomatico non accetterà  di rispettare questa disposizione dei giudici di Delhi, visto che gode delle protezioni della Convenzione di Vienna che regola la presenza di diplomatici stranieri in uno Stato. La richiesta di non lasciare il paese è contraria all’articolo 29 della Convenzione di Vienna del 1961, che garantisce ai diplomatici non solo libertà  di movimento ma anche esenzione da qualsiasi procedimento giudiziario. Al corrispondente dell’Ansa da Delhi però il portavoce del ministero degli Esteri indiano Syed Akbaruddin ha detto che «se un diplomatico si sottomette volontariamente alla giurisdizione di una corte, quella stessa giurisdizione è applicabile».
Mancini in effetti aveva firmato l’impegno del governo italiano perché i due marò rientrassero in India allo scadere del mese di permesso elettorale. E i giudici indiani quindi vogliono ascoltarlo prima del 22 marzo per capire cosa sarà  di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre.
Quasi temesse una ritorsione uguale e contraria da parte del governo Monti, lo stesso governo indiano ha deciso di rinviare l’insediamento a Roma del nuovo ambasciatore, Basant Kumar Gupta: doveva prendere un volo per l’Italia oggi, venerdì, ma per il momento se ne rimane nel suo paese.
Nel frattempo però l’India sta preparando la sua “macchina da guerra” diplomatica: il ministero degli Esteri ha convocato l’ambasciatore della Ue in India, Joao Cravinho, chiaramente con l’intenzione di evitare che la Ue si schieri in questo caso che l’India ha tutta l’intenzione di mantenere a livello bilaterale.
Contemporaneamente, seguendo le indicazioni che il primo ministro Singh aveva dato intervenendo in parlamento («ci saranno conseguenze nei rapporti con l’Italia»), il ministero degli Esteri ha avviato una revisione complessiva dei rapporti con Roma: «Nell’ambito dei nostri sforzi ispirati dalle direttive del premier Singh, abbiamo avviato un riesame delle nostre relazioni con l’Italia e, nell’ambito di questo processo interno, decideremo un’azione adeguata».
Nel frattempo i ministri Terzi e Di Paola hanno assunto un assetto da sommergibilisti: si sono immersi nelle profondità  del silenzio stampa, sperando che la tempesta passi al più presto senza creare danni eccessivi. Soltanto Terzi, che per due giorni è stato in Israele nonostante non ci sia un governo in carica, è riemerso per smentire seccamente l’illazione di Ignazio La Russa che aveva detto «il ministro degli Esteri mi aveva detto che lui i marò avrebbe voluto non rispedirli in India già  a Natale, ma Monti si era opposto». Il ministro fa sapere che la ricostruzione di La Russa è falsa, dicendo semplicemente «non ho mai detto una cosa simile».
Ieri, intanto, i marò in servizio anti pirateria hanno respinto un arrembaggio di sei barchini veloci nel golfo di Aden, sparando in aria e convincendoli a desistere.


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