by Sergio Segio | 24 Marzo 2013 9:03
Eppure lo scontro diplomatico tra New Delhi e Roma sembra solo all’inizio, con chiare ripercussioni di politica interna per entrambi i paesi.
La prima controversia riguarda il rischio di pena di morte. La diplomazia italiana ha fatto intendere che la minaccia di mancato rientro avesse l’obiettivo di ottenere una garanzia scritta da New Delhi che rendesse impossibile una condanna a morte di Latorre e Girone, i due fucilieri italiani ritenuti responsabili della morte di due pescatori indiani, Valentine e Ajesh, uccisi a largo di Kochi nel febbraio 2012. Lo stesso De Mistura si era affrettato ieri ad assicurare l’esistenza dell’accordo.
Il ministro degli Esteri indiano, Salman Khurshid, ha sottolineato soltanto che i due marò non sarebbero stati «passibili di arresto se fossero tornati entro la scadenza fissata dalla Corte (22 marzo, ndr) e che il caso non rientra nella categoria di procedimenti penali che contemplano la pena di morte». Ovviamente questo non implica che ci sia un accordo scritto con il governo italiano, si è trattato solo «di un chiarimento» ha insistito Khurshid. E proprio per precisare questo punto il ministro della Giustizia indiano, Ashwani Kumar ha ironicamente dichiarato: «Come può il potere esecutivo dare garanzie sulla sentenza di un tribunale?». Anche in India i due poteri sono separati. E così le autorità indiane hanno ribadito l’autonomia dei giudici del tribunale di New Delhi nello stabilire la pena da infliggere ai due marò.
La spiegazione del presunto accordo tra governo uscente di Monti e autorità indiane sembra prendere i tratti di una scusa, addotta dal ministro degli Esteri Terzi, per spiegare il repentino dietrofront sul mancato rientro dei marò in India, caldeggiato dal centro-destra italiano. Ma in verità tutte le forze politiche, incluso il Partito democratico, avevano salutato con favore la decisione di Terzi. Mentre un freno all’iniziativa del ministro è venuta anche in seguito all’atteggiamento non assolutorio della procura militare di Roma che aveva aperto un’inchiesta per «violata consegna aggravata» e «dispersione di oggetti di armamento militare» a carico dei due fucilieri.
Alla fine ha prevalso la minaccia che al mancato rispetto degli accordi avrebbero fatto seguito, da una parte, la grave restrizione nelle libertà di movimento dell’ambasciatore italiano a New Delhi, Daniele Mancini, e dall’altra, un possibile alt alle relazioni commerciali tra i due paesi. Evenienza che ha messo in allerta gli industriali italiani, spingendo il governo, che il prossimo martedì dovrà riferire alle Camere sulla crisi, a ritornare sui suoi passi.
La spiegazione di De Mistura sulla decisione di non far rientrare i marò è strettamente legata alla formazione di un Tribunale speciale, annunciata lo scorso febbraio dopo un anno di controversi pareri giuridici. «Se una corte speciale può condannare a morte, anche uno straniero, la legge italiana impedisce al governo di consegnarlo a quel tribunale. È proprio la formazione di una corte speciale in questo caso unico ad aver provocato la sospensione dell’affidavit», ha spiegato De Mistura. E così prima il governo locale del Kerala ha spinto per una corte speciale che avrebbe processato gli imputati e fornito un risarcimento alle famiglie delle vittime, poi, soprattutto al momento del mancato rientro, anche il partito nazionalista del Congresso si è mostrato intransigente. Una mossa sulla quale pesa la scadenza delle prossime elezioni politiche del 2014.
Ma sulla gestione della crisi da parte delle autorità indiane è arrivata l’accusa di De Mistura. Secondo il sottosegretario, l’Enrica Lexie, sulla quale erano di servizio i due marò, si trovava in acque internazionali, ma fu «fatta entrare in acque territoriali indiane con l’inganno». Cosa che permise alla polizia del Kerala di interrogare l’equipaggio della petroliera che ammise di avere avuto uno scontro con un’imbarcazione e di aver sparato in aria. Versione in contrasto con quella dei pescatori indiani del Freddy Bosco che testimoniarono invece di un’aggressione ingiustificata della petroliera Enrica Lexie.
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