«Pensano di essere liberi di torturarci, cercano notorietà  ai danni delle vittime»

by Sergio Segio | 29 Marzo 2013 8:04

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Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, 18 anni, ucciso durante un controllo di polizia il 25 settembre 2005 da quattro agenti, condannati in via definitiva a tre anni e sei mesi di reclusione (di cui tre indultati) per omicidio colposo, dice basta a chi «infanga la memoria di mio figlio». E al sindacato di polizia Coisp che ieri ha accusato il ministro degli interni Anna Maria Cancellieri di «ipocrisia», chiedendone le dimissioni, risponde: «Sono parole che confermano la loro mancanza di rispetto verso le istituzioni, verso Federico e la sua famiglia, la nostra città  e le sentenze dei tribunali. Sono alla ricerca di visibilità . Prima di Ferrara sono stati a piazza Alimonda a Genova, dov’è stato ucciso Carlo Giuliani. Sono persone che si introducono nelle situazioni più buie della storia delle forze dell’ordine e rivendicano queste azioni come solidarietà  ai chi si è reso protagonista di episodi terribili. Lo trovo disumano. Il Coisp si ritiene libero di torturarci, di venire a Ferrara a cercare notorietà  ai danni della famiglia della vittima. È ora di cambiare le cose. Bisogna che le istituzioni prendano provvedimenti. Fino ad oggi nessuno ha fatto veramente qualcosa. Basta dire che non rientra nelle loro competenze e che non sono responsabili. Noi familiari restiamo sempre soli. Penso a Lucia Uva che si è presa una querela per diffamazione da parte di chi ha probabilmente causato la morte di suo fratello. Invece di proseguire le indagini, il pubblico ministero apre un fascicolo su di lei».
A quali provvedimenti sta pensando?
Non sono un legale, ma torturare la gente in questo modo dovrebbe essergli impedito a monte. Cavolo, queste persone sono sempre libere di venire a torturarci. Io tra un po’ le denuncio per stalking. E questo lo devo fare sempre io, capisce? E arriva sempre da quella gente che si fa forte del fatto che tanti loro colleghi sindacalisti hanno mantenuto questo atteggiamento a Ferrara per molto tempo. Basta leggere i giornali online locali che si riempiono di insulti nei nostri confronti. In generale, penso all’istituzione del reato di tortura o al numero di riconoscimento degli agenti sulle divise o sui caschi.
Da chi arrivano questi insulti?
Da chi appartiene alle forze dell’ordine che guarda caso non si firma e usa pseudonimi.
Conferma di avere esposto querela contro il segretario del Coisp Franco Maccari e contro l’ex senatore Pdl, ora in Fratelli d’Italia, Alberto Balboni?
Certo. La mia querela riguarda quello che hanno affermato sulla stampa che riporta anche quanto affermato durante il congresso del Coisp tenutosi mercoledì a Ferrara.
La querela riguarda le affermazioni di Maccari secondo il quale la foto di Federico che lei ha esposto pubblicamente sia un «fotomontaggio» e non sarebbe stata accettata in sede processuale?
Questa è una bugia enorme. È stato uno degli atti decisivi del processo.
Quanto all’affermazione di Balboni, secondo il quale le finestre del suo ufficio non affacciano sulla piazza dove il Coisp ha tenuto il suo presidio?
Il mio ufficio non affaccia sulla piazza, ma io in comune non sono inchiodata sulla sedia. Il presidio lo guardavo da una finestra in un corridoio. Loro manifestavano davanti agli uffici dove lavoro.
Dicono anche che lei, scendendo in piazza insieme a due colleghe, abbiate improvvisato una «manifestazione non autorizzata» durante il vostro orario di lavoro.
Ci siamo premurate di marcare il cartellino per recuperare il nostro orario. Nessuno ha rubato tempo al lavoro. Eravamo indignate per il comportamento di quel deputato, che non sapevamo fosse tale, che ha affrontato con fare aggressivo il sindaco Tagliani. Allora abbiamo deciso di scendere. Eravamo solo tre donne, e non c’era nessuna organizzazione.
Lei parla di difficoltà  imposte dagli organi inquirenti in sede processuale che hanno impedito di fare luce sull’omicidio di Federico. A cosa allude?
Prima delle condanne definitive ci sono stati insabbiamenti e depistaggi avvenuti nei primi mesi, fondamentali per stabilire la verità . Ad esempio non sono stati sequestrati i manganelli. Abbiamo saputo che erano stati rotti da un’interrogazione parlamentare.
Durante il processo in che modo la polizia le ha manifestato solidarietà ?
Ieri mi ha telefonato l’ex questore Longo, ora a Catania, oltre a molti suoi colleghi. Il processo è stato difficile. Il questore Graziano querelò dodici persone che hanno scritto sul mio blog. Ad un anno dalla morte di Federico subentrò Savina che aprì gli armadi e permise di accedere alle prove. Un cambiamento di atteggiamento confermato anche con Longo che ci è stato vicino.
Si augura che al sit-in di oggi ci sia anche una rappresentanza della polizia?
Io ho invitato i poliziotti che si sono dissociati dal comportamento dei loro colleghi. Sono i benvenuti se se la sentono. Però so benissimo che è molto difficile, visto il clima tra di loro.

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