L’orgoglio di Monti: «La terapia d’urto? Non avevo alternative»
BRUXELLES — «Nel 2011 non c’era altra scelta che mettere in esecuzione una strategia energica di riduzione dei deficit, e allo stesso tempo avviare delle riforme strutturali». Detto in soldoni, «non potevamo fare altro»: quindici mesi dopo, tornato nella Bruxelles che tante volte lo ha visto partecipare ai vertici dei leader europei, Mario Monti cerca nel recente passato il bandolo del presente; che cosa è stato possibile fare, che cosa no, quali errori sono stati compiuti, che cosa ha portato al cataclisma elettorale dell’altro giorno; e forse, anche, quanta parte del futuro politico del Professore possa essere ancora qui, ai vertici della Ue. Intanto, la cronaca incalza: lunedì, l’analisi del dopo-voto italiano sarà quasi certamente al centro dell’Eurogruppo, il vertice dei ministri delle Finanze dell’eurozona.
Fra ieri e mercoledì, il nostro primo ministro uscente ha incontrato prima José Manuel Barroso, il presidente della Commissione europea, poi Herman Van Rompuy, presidente del Consiglio Ue. Gli hanno detto entrambi che hanno «piena fiducia» nella capacità italiana di garantire la stabilità , e questo era pressoché scontato. Van Rompuy ha anche aggiunto che «l’Italia continuerà a rimanere uno stabile e forte componente dell’Ue e dell’eurozona». Parole che possono anche fare una certa impressione, poiché sembrano esorcizzare un’ipotesi che nessuno ha finora fatto, almeno apertamente. Ma poi, parte la moviola: in un convegno sulla concorrenza, al fianco del vicepresidente della Commissione Joaquin Almunia, Monti rilegge appunto il diario italiano, a metà strada fra giustificazione e rivendicazione. Per esempio: in quella scelta obbligata per le riforme strutturali, «ho potuto notare l’abilità di differenti gruppi organizzati di interessi» nell’opporsi. E quanto alle critiche giunte più tardi contro la cappa dell’«austerity», «l’ex presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi, ndr) aveva appena concordato di anticipare dal 2014 al 2013 il pareggio di bilancio», per «rafforzare la credibilità dell’Italia»: risposta indiretta, e neppure tanto cifrata, a chi ha tacciato Monti di eccessiva acquiescenza nei confronti della cancelleria di Berlino.
La rivendicazione di quanto compiuto a Roma è affidata alla dichiarazione congiunta firmata con Van Rompuy: «Le riforme strutturali applicate finora in Italia hanno aiutato a ristabilire la fiducia dei mercati e la sua credibilità internazionale. Se proseguite, aumenteranno significativamente il potenziale di crescita del Paese». Quel «se proseguite» vuol dire che, per Bruxelles, al timone dovrà esserci ancora l’iniziatore, cioè Monti? Forse basterà attendere qualche settimana, per capirlo. Nell’attesa, è ancora lo stesso Monti a cercare nelle scarpe i proverbiali sassolini, e a levarli di torno: «Quando assunsi le mie funzioni, non pensai mai a domandare un accordo per rinviare al 2014 gli obiettivi di riduzione del deficit pubblico italiano…». Traduzione: come ha fatto la Spagna, come sta per fare la Francia. E ancora: «Io non biasimo nessuno, né al livello dell’Ue né fra gli Stati-membri, ma è chiaro che la credibilità della politica condotta in un Paese può soffrire se altri chiedono delle dilazioni e le ottengono». Alla fine, la moviola si ferma sulla riflessione più disincantata: «C’è un enorme problema di visibilità nella giustezza della buona politica… Se la virtù non apporta dei guadagni visibili, allora rischia d’essere di breve durata».
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